Interviste

Pieralberto Valli, intervista

Scritto da Annalisa Nicastro

L’importante è mantenersi lontani dalle paraculate, non fingere di essere ciò che non si è. Questo disco è ciò che è.

E’ sempre un vero piacere per me, per noi, fare quattro chiacchiere con Pieralberto Valli, un artista che è di una bravura e di una profondità non usuale. Lo dimostra ancora una volta nel suo nuovo album “Atlas”, appena uscito per la Ribèss Records. Ed è anche il suo primo lavoro da solista. Infatti lo abbiamo sempre ascoltato in questi anni con i santo barbaro
Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita di Atlas e ne è venuta fuori una bella intervista, una riflessione su alcuni temi a lui cari ma anche più universali.

Ciao Pieralberto, ben trovato sulle pagine di SOund36. Ti seguiamo con piacere sin dai tempi con i Santo Barbaro. Alla luce della tua attività da solista come definiresti oggi quegli anni?
Sono stati anni molto belli, intensi, formativi. I santo barbaro sono stati il primo progetto in cui ho usato l’italiano come canale di comunicazione e mi sono riconnesso con la nostra cultura. Attraverso i santo barbaro ho riscoperto ciò che di buono è stato fatto in questo paese in termini di musica e testualità. Ogni disco dei santo barbaro è stata un’esperienza a sé stante, un’esplorazione di potenzialità e di confini. Nessuno somiglia a un altro, ognuno esiste in quanto capitolo separato e autonomo; eppure, se presi tutti insieme, raccontano una storia.

Come si è evoluta la tua musica rispetto agli esordi con i Santo Barbaro?
L’evoluzione del gruppo è stata soprattutto un’evoluzione di consapevolezza, una messa a fuoco costante lungo un percorso personale, che ha sempre cercato di scostarsi dall’incasellamento di genere. Abbiamo esplorato ambienti acustici, elettronici, new-wave, post-punk, industrial, ecc. Abbiamo cercato di capire quali potessero essere i confini dell’unione di diversi riferimenti sonori e testuali, cercando sempre di arrivare all’essenza della parola, spogliandola mano a mano di tutti gli orpelli che non ci sembravano necessari. Nella traiettoria dei santo barbaro rivedo anche la mia, personale: un riemergere dai propri limiti per situarsi esattamente nel proprio centro.

Cosa significa per Pieralberto Atlas, il titolo del tuo debut album?Significa che per proseguire bisogna abbandonare un luogo sicuro per cercarne un altro. E per farlo occorre una mappa, una coordinata, una direzione da seguire. Significa tapparsi le orecchie e gli occhi rispetto a ciò che bisognerebbe fare per emergere e rimanere ancora in apnea per ritrovare sé stessi. Significa passare due anni per capire esattamente cosa si vuole comunicare, e come, non lasciando niente al caso. Io credo che abbiamo bisogno di mappe per ritrovare la nostra posizione nel mondo, ma per farlo bisogna alzare lo sguardo e guardarci dall’alto. Dal basso l’orizzonte sembra sempre lontano, per quanto veloci possiamo muoverci.

C’è un’accortezza non comune nella tua musica quanto nelle tue parole. Come nascono queste piccole poesie?
Appunto costantemente tutto quello che mi viene in mente. Lo faccio in maniera compulsiva. Riempio agende su agende di frasi, spunti, mezzi racconti. Parallelamente lavoro alla parte musicale. Solo quando sono soddisfatto del risultato armonico di ciò che ho prodotto, mi concentro ad accoppiare i testi alle canzoni. Quel momento è il più delicato, fragile, disequilibrato. Serve tanto lavoro di lima, bisogna smussare gli angoli e trovare i giusti bilanciamenti. C’è molta immediatezza iniziale, quasi una inconsapevolezza rispetto a ciò che scrivo, e poi un infinito lavoro manuale di incastri e spostamenti.

Ci sono poi parole e temi che ricorrono con particolare frequenza nei tuoi brani. Quali ad esempio?
Tutte le parole legate al viaggio, inteso sia in senso fisico che spirituale. Ci sono esodi e avventi, mondi sottomarini, ci sono i resti che lasceremo e quelli che abbiamo trovato, ci sono monaci lontani e monsoni, ci sono moltissimi luoghi senza nome, frontiere e pianeti. Ci siamo noi nel mondo e il mondo in noi. Come è naturale che sia.

Musicalmente parlando questo disco ha molti input che tu reinterpreti in modo personalissimo. Cantautorato, elettronica, minimalismo, ambient. Non sembra esserci traccia del pop, oppure pensi che sia presente in qualche modo nelle tue canzoni?
La questione è: cosa significa essere pop? Ammiccare? Compiacere? Conformarsi? Piacere a tanti non è un valore in sé, e non è nemmeno una colpa. Noi amiamo tanto la democrazia, salvo quando decreta la vittoria di chi non ci va a genio. Vorrei cercare di stare alla larga da questo genere di pensieri. Credo piuttosto nell’onestà intellettuale di chi fa musica pensando al valore che questa dovrebbe avere. Esistono le commedie e i drammi, le opere di fantascienza e quelle di sperimentazione. È tutto potenzialmente valido, è tutto potenzialmente giusto. L’importante è mantenersi lontani dalle paraculate, non fingere di essere ciò che non si è. Questo disco è ciò che è. Non è un disco che nasce per pochi, ma non è nemmeno un disco che si sforza di seguire ciò che la gente vorrebbe sentire perché già conosce.

Personalmente trovo le tue composizioni dei piccoli viaggi sonori. Hai viaggiato tanto in questi anni e hai vissuto fuori dall’Italia. C’è traccia di tutte queste esperienze nella tua musica?
Viaggiavo molto di più in passato, anche se il viaggio mi ha sempre affascinato relativamente. Ho sempre preferito fermarmi a lungo in un luogo, e poi cambiarlo, all’infinito, per poter capire qualcosa, per poter ricavare un’impressione profonda. Il tema del viaggio esiste ed è parte fondante di questo lavoro, ma non è un viaggio low cost di un weekend, non è lo sguardo dall’oblò di un aereo da cui spedire una cartolina che ha la profondità della carta su cui è stampata. Il viaggio è un percorso tanto lungo quanto la vita, è il senso della vita stessa. Ma è un viaggio nella profondità della vita, non sulla sua superficie.

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione. E in ultimo vorrei dire che mica sono matta, ma solo pazza. Pazza di gioia.

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