In una sala che diventa ventre e confine, tempia pulsante e battito condiviso, la danza prende parola — e non chiede il permesso per farlo.
All’interno della XXII edizione del Festival d’Autunno, dedicata a “CambiaMenti. Linguaggi senza tempo” e insignita del riconoscimento EcoEvents di Legambiente, questa performance si distacca nettamente dall’idea di spettacolo come svago, e si fa rito collettivo, pelle viva che assorbe, restituisce e interroga.
Fondata nel cuore di Napoli nel 2019 da Nyko Piscopo, Nicolas Grimaldi Capitello, Eleonora Greco, Leopoldo Guadagno e Francesco Russo, la Cornelia Dance Company è stata riconosciuta dal Ministero della Cultura nel 2021. Da allora, continua a percorrere strade artistiche che non cercano l’applauso facile, ma lo smottamento interiore. La loro cifra è politica del corpo, poetica del presente. Un lavoro in cui ogni gesto è un frammento di verità, ogni silenzio è un urlo trattenuto.
To My Skin si compone di due atti coreografici che si specchiano l’uno nell’altro, quasi come stagioni estreme dell’esistenza: Before/After, firmato da Mauro de Candia, e Ardor, creato da Antonio Ruz.
Nel primo, il tempo sembra rallentare fino a sfiorare l’immobilità.
I danzatori diventano lastroni di ghiaccio senzienti, superfici lisce attraversate da crepe sottili, invisibili ma fatali. È la rappresentazione di un equilibrio apparente che si incrina lentamente, senza clamore, senza strilli — come fa la natura quando si spegne.
C’è una forma di tragedia muta, fatta di micro-movimenti, tensioni taciute, posture che ricordano la sopravvivenza. L’avidità umana si insinua come un ago freddo e preciso, trafigge la pelle del mondo e lo svuota di linfa, fino all’implosione solare di un gesto terminale.
La musica di Julia Wolfe accompagna e sostiene questo collasso emotivo, con una partitura che è allo stesso tempo lama e carezza, metallo e respiro.
Poi arriva Ardor, e con esso il rovescio della medaglia.
Dove prima era ghiaccio, ora è fuoco che consuma.
L’atmosfera si fa densa, le traiettorie dei corpi si contorcono in una danza dantesca, infernale, fatta di carne che brucia, che lotta, che si deforma.
Qui il corpo non regge più la temperatura del mondo, si piega sotto il peso del troppo. Ma non cede del tutto: continua a cercare, a spingere, a sopravvivere. C’è una tensione continua tra resistenza e resa, tra fine e possibilità.
L’anima, intrappolata nel magma, tenta ancora una trasformazione.
La colonna sonora, firmata da Aire, accompagna questa combustione interna ed esterna, offrendo un sostegno sonoro che pulsa come un cuore allo stremo.
Le coreografie sono completate e arricchite dal contributo corale di artisti e danzatori: Ginevra Conte, Eleonora Greco e Leopoldo Guadagno per Before/After; Mimmina Ciccarelli, Nicolas Grimaldi Capitello, Marta Ledeman, Francesco Russo e Antonio Tello per Ardor.
La loro presenza in scena non è solo interpretazione, è incarnazione.
I corpi portano sulle ossa e nei muscoli la consapevolezza di una verità scomoda: non stiamo facendo abbastanza, e nel far troppo — nel pretendere, consumare, dominare — stiamo consumando tutto.
A guidare e scandire l’intera esperienza è la voce di Simona De Leo, che presta il fiato e l’intenzione a un testo tratto da Homesick: A Plea for Our Planet, poesia viscerale dell’attivista americana Andrea Gibson.
La versione italiana diventa radice che affonda, parola che ci riguarda.
È un richiamo feroce e tenero, che ci ricorda quanto poco restituiamo a questa Terra che ci ha dato tutto.
Un’invocazione più che una denuncia. Un lamento che non è pianto sterile, ma preghiera laica per un nuovo inizio.
A rendere palpabile l’immersione sono anche i costumi di Francesco Massaro, che non sono solo abiti ma seconda pelle, strumenti di trasformazione che si fondono con le mutazioni emotive dei danzatori. Il set, ideato da Rosita Vallefuoco, è sospeso tra simbolismo e concretezza, tra realtà e sogno febbrile.
Il disegno luci e tecnico, affidato a Cosimo Maggini, regge l’impalcatura visiva con precisione chirurgica.
La regia video del filmmaker Luca Pignone si intreccia alla danza con eleganza, amplificando la percezione e allargando i confini del palco verso una dimensione quasi cinematografica, multisensoriale.
Prima nazionale, To My Skin è una produzione originale della Cornelia Dance Company, con il sostegno del Teatro Area Nord di Napoli.
Un’opera urgente, poetica, necessaria. Un’esperienza che attraversa lo spettatore senza chiedere il permesso. Non cerca di convincere, ma di far sentire. E nel farlo, inchioda ciascuno alle proprie responsabilità.
Il palco diventa crocevia di coscienza, focolare e ghiacciaio, soglia da oltrepassare.
Un grido coreografico che non invoca salvezza, ma presenza.
Perché non c’è più tempo da perdere.
E il futuro, se ancora esiste, va danzato — adesso.
Per le informazioni e le fotografie si ringrazia:
L’UFFICIO STAMPA DEL FESTIVAL Giuseppe Panella e Claudia Fisciletti e la social media manager Anna Trapasso.




