Capitolo 2.1 (parte 21) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione. I Figli di Nessuno di R. Matarazzo (51), musica di Salvatore Allegra
Siamo di fronte ad uno dei film che, insieme a Catene e Tormento, forma la trilogia classica del popolarissimo genere melodrammatico, lavori firmati tutti dallo stesso regista Matarazzo, il quale si afferma come maestro in questo campo. Sin da ora, non ci si aspetti grandi innovazioni da parte del musicista Allegra che “deve” sottostare al più servile tradizionalismo della musica cinematografica: sincronismo assoluto, sentimentalismo lirico e smaccato colorismo. Questi, infatti, i caratteri essenziali che tale tipo di pellicole richiedono alla musica, ché anzi qui l’originalità e l’ardimento sono del tutto aborriti.
Da subito, in estrema coerenza con quanto appena accennato, i titoli di testa si aprono con una musica fortemente drammatica, mentre vediamo le immagini della Cava di marmo di Carrara, vero e proprio fulcro della storia che il film narra. Il tema, in tonalità minore, è affidato agli archi che sviluppano una semplice frase di due battute, ripetuta per due volte, che vedremo costituire uno dei leitmotiv più forti e significativi, legandosi a quel luogo nefasto. La ritmica, eseguita da viola, violoncello e contrabbasso, si esprime in una figurazione estremamente semplice, ma concependo un effetto che regala grande concitazione alla melodia di cui fa parte. Riconosciamo inoltre quel tradizionalismo dall’immediato impiego di tutto l’apparato orchestrale, sfruttato in tutti i suoi colori e nei suoi “forti”. Oltre questa melodia principale, dopo alcune battute avremo l’introduzione di una nuova atmosfera melodica, questa volta in tonalità maggiore, affidata ai legni che con i loro guizzi e trilli la arricchiscono di giovialità e, quasi, di allegrezza. Tale intermezzo, però, dura ben poco, poiché dopo poche battute ecco rientrare le prime quattro battute iniziali, annunciate da un tempo rubato che meglio riesce a farle apparire con tutta l’enfatizzazione possibile e che non lascia alcun dubbio sulla tragedia “catartica” che chiuderà il film.
Il suo argomento, infatti, è tipicamente melodrammatico, forte come è delle complicazioni d’intreccio, derivate dalla letteratura popolare. Guido (Amedeo Nazzari), figlio della contessa, padrona della Cava, è innamorato di Luisa (Yvonne Sanson), figlia del guardiano. La madre di lui, contraria al loro rapporto, induce il figlio a fare un viaggio e, con l’aiuto dell’infido Anselmo, di cui si fida ciecamente, riesce ad intercettare le lettere destinate a Luisa. La ragazza, che è incinta e crede di essere stata abbandonata, si rifugia da una contadina, dove, dopo aver partorito, cura amorevolmente il suo bambino. Ma la contessa lo fa rapire da Anselmo, e Luisa, credendolo morto in un incendio, si fa suora. Il bimbo, allevato in un collegio a spese della nonna, esasperato dalle beffe dei compagni sulle sue oscure origini, un giorno scappa. Dopo drammatiche vicende scopre di essere figlio di Guido. Il ragazzo, nel tentativo di scongiurare un sabotaggio alla Cava, vi rimane gravemente ferito. Luisa accorre dal convento, ma fa appena in tempo ad abbracciarlo per l’ultima volta.
Segue nel prossimo numero! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano