Quella del Giappone è una terra piena di misteri e di folklore che ben si presta ad essere usata al fine di raccontare storie. Non starò ad elencare le numerose occasioni in cui il Giappone è stato teatro di film, libri e, ovviamente, anche videogiochi. Ghostwire: Tokyo non è da meno; il titolo pesca a piene mani da quella che è la cultura nipponica andando a delineare un racconto che purtroppo non mi ha convinto del tutto lasciandomi dell’amaro in bocca.
Il primo impatto che ho avuto, pone le basi per quello che sarà il mio pensiero costante per tutte le venti ore che mi hanno portato ai titoli di coda. La storia narra di un giovane, Akito, che si ritrova invischiato, suo malgrado, in una lotta tra umani e spiriti. Il motivo che muove il nostro protagonista è il rapimento da parte di un misterioso uomo mascherato di sua sorella, elemento fondamentale di un qualche oscuro rituale. Ad accompagnare il giovane Akito, abbiamo KK, lo spirito di un cacciatore di fantasmi che si impossessa del corpo del protagonista donandogli la capacità di combattere i vari spiriti e fantasmi che hanno preso il controllo di Tokyo. KK non è mosso solo da uno spirito altruistico nei confronti di Akito ma anche e soprattutto da un forte risentimento nei confronti del misterioso uomo mascherato. La trama non presenta purtroppo alcun tipo di originalità o qualche guizzo interessante e anzi, si perde tragicamente in un bicchiere d’acqua. I personaggi secondari che, per la maggior parte dei casi, ci vengono presentati solo nominalmente, non vengono sviluppati minimamente e anche gli antagonisti sono tali solo perché fanno cose cattive senza alcun tipo di spessore o trasporto emotivo di alcun tipo. Gli unici personaggi che si salvano sono Akito e KK ma solo in quanto protagonisti della storia e quindi maggiormente presenti nelle scene. A conferma di ciò, tutti gli aspetti emotivi che dovrebbero muovere sia Akito (preoccupato per le sorti della sorella) che KK (accecato dalla vendetta) e, perché no, anche il videogiocatore, non risaltano in maniera incisiva e sembra quasi che facciano solo da contorno agli eventi della storia.
Non si salvano nemmeno le numerose missioni secondarie presenti che non brillano minimamente per la scrittura e, escluso qualche caso, si riducono sempre alle solite tre/quattro situazioni noiose e ripetitive. La trama, quindi, non è riuscita a coinvolgermi facendo subentrare la noia dopo poche ore di gioco. Altro elemento che ho trovato fuori posto, è stata la scelta di utilizzare la prima persona. Partiamo dal presupposto che non sono un super fan dei giochi in prima persona o quanto meno reputo che calzino meglio su determinati generi (titoli come Doom e Half-Life, ad esempio, hanno tutto il mio amore spassionato).
Un genere che invece, a parer mio, non ci azzecca nulla, è proprio l’action come nel caso di Ghostwire: Tokyo. Il dovermi ritrovare ad affrontare demoni e spiriti con questa modalità di visuale e con la frenesia che un action richiede, mi ha messo in non poca difficoltà. Ora, qualcuno potrebbe obbiettare dicendo: “ma come, non hai notato che è una rivisitazione dei classici
sparatutto in prima persona solo con le magie al posto delle pistole?” Verissimo, ed è proprio da questa ibridazione che nascono i problemi. Tokyo, come già detto, è stata invasa da spiriti e demoni presi direttamente dal folklore nipponico. Le armi a nostra disposizione sono le capacità di KK di incanalare l’etere per scagliare dei proiettili contro i nemici fino a che non riusciremo a mettere a nudo il loro nucleo e quindi purificarlo.
Insieme a questi elementi, che ricordano uno sparatutto, ne hanno inseriti di altri che invece appartengono maggiormente al genere action come per esempio una forma di parata che, se eseguita con il giusto tempismo, darà la possibilità di un contrattacco, oppure il poter usare un dash per evitare gli attacchi nemici. Bene, questi elementi non sono stati approfonditi a sufficienza restituendo un comparto action veramente scarno. Si risolverà tutto nello scappare, girarsi, sparare, purificare e ricominciare senza alcun tipo di strategia alternativa. Per i più pazienti sarà possibile anche attuare un approccio stealth che però mal si adegua al tipo di gioco; molto meglio scendere in campo e sparare all’impazzata che muoversi silenziosamente per l’area sperando che non ci becchino. L’unico aspetto che caratterizza questo gameplay è l’utilizzo di tre tipologie diverse di proiettili in base all’elemento che decidiamo di usare e che cambieranno il nostro approccio al combattimento. Il vento sparerà colpi singoli, l’acqua avrà un attacco con un raggio d’azione più ampio mentre il fuoco farà la parte di un lancia-granate. Divertente? Sì, lo ammetto, non pecca di divertimento ma di varietà. Dopo le prime ore di gioco, infatti, avrete già sbloccato la maggior parte degli elementi di gameplay presenti esaurendo, così, le sue possibilità.
Cosa si salva allora in questo titolo? Il lavoro enorme ed encomiabile che hanno fatto per quanto riguarda la ricostruzione minuziosa della città. Tokyo, e nello specifico Shibuya, è stata ricreata in ogni suo minimo dettaglio dandoci veramente l’impressione di camminare per le sue strade. Peccato che, per motivi di trama, la città sia completamente deserta e quindi rimangono solamente le
architetture a fare da protagonisti dell’ambiente. Altro aspetto che trovo meraviglioso è quello del folklore nipponico che in questo titolo fa da padrone e che funge quasi da enciclopedia del
paranormale. Questo aspetto è raccontato in maniera sublime attraverso i numerosi cimeli che potremo raccogliere in giro per la mappa. Se tutto il titolo fosse stato trattato con questa cura, non mi sarei ritrovato a giocare un noioso walking simulator per le strade di Shibuya. Per quello esiste già Google Maps.
Non posso dire che in alcuni punti non mi sia anche divertito a dare la caccia ai fantasmi, a sparare a quelli che erano mostri del folklore giapponese ma ciò non è bastato a farmi apprezzare a pieno il titolo. Mancanza di varietà nel gameplay, una trama piatta e mal raccontata e un comparto grafico un po’ arretrato sono gli elementi che maggiormente risaltano dal titolo dei ragazzi di Tango Gamesworks.
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