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Biopic: raccontare la vita di un personaggio reale attraverso un nastro di cellulosa

Scritto da Marco Sampietro

Il valore del ricordo è qualcosa di magico, raccontarlo è un prezioso antidoto per la malinconia. Ecco i migliori biopic musicali

Negli ultimi anni il mondo del cinema si è dedicato spesso e volentieri alla realizzazione dei cosiddetti Biopic (parola che deriva dalla contrazione di biographical picture) ovvero il narrare la vita di un personaggio realmente esistito e sufficientemente famoso, insomma “about the life of a real person”, personaggio storico, sportivo e del panorama musicale.
I biopic sugli dei della musica mondiale sono risultati un buon business per le case cinematografiche e spesso per gli artisti ancora in vita, dando anche nuova linfa a chi forse era stato dimenticato o momentaneamente accantonato. Certamente non tutti riuscitissimi e spesso non vicinissimi alla realtà dei fatti, ma col senno di poi hanno soddisfatto per certi versi i gusti dei fan più accaniti.
Le fonti e la fantasia estrema dei registi spesso si sono intrecciati male e non sempre hanno messo sul “piatto dello schermo” un buon racconto di ciò che è stato realmente l’artista.
È difficile addentrarsi nelle vite così particolari e molto movimentate di questi grandiosi artisti spesso apparentemente forti e sicuri di sé, ma in realtà estremamente sensibili e fragili, per questo risulta notevolmente difficile scindere per bene il performer dall’uomo comune e di conseguenza il pubblico dal privato.
Nel 1991 un notevole Val Kilmer, interpreta il carismatico leader dei Doors, Jim Morrison, non senza lasciare l’amaro in bocca per una traballante ricostruzione dei rapporti privati evidenziando così alcuni limiti del film, ma all’epoca grazie all’interpretazione di Kilmer e al fascino del personaggio in sé, il successo non tardò ad arrivare.
Nel 2002 il regista Curtis Henson sforna 8 Mile con il celebre rapper Eminem come protagonista, insomma per la serie me la canto e me la suono Eminem dimostra di essere non solo un’icona dell’hip pop ma anche un discreto attore che riesce addirittura a non intimorirsi confrontandosi abilmente con una bravissima e bellissima Kim Basinger. Il film narra la sua ascesa, il bianco che sfida il “black power” riuscendo a realizzare il sogno americano in una Detroit che rappresenta la dura realtà degli States. Premio Oscar per Lose Yourself il film non è massacrato dalla critica, ma risulta essere positivo e coinvolgente.
Nel 2004 Jamie Foxx vinse con merito la statuetta di migliore attore protagonista per la sua favolosa interpretazione in Ray, il film di Taylor Hackford sulla vita di Ray Charles, cantautore e pianista statunitense, considerato uno dei pionieri della musica soul, ceco dall’età di sei anni. Foxx per calarsi perfettamente nei panni del grande artista non vedente, trascorse del tempo con lui per riuscire al meglio nella sua performance. La sceneggiatura del film venne approvata dallo stesso Ray Charles e il film resta uno dei migliori prodotti sul tema.
Nel 2012 poi, in seguito ad una precisa richiesta dello stesso Elthon John, Dexter Fletcher dirige Rocketman, che uscirà nelle sale nel 2019 vincendo poi il premio Oscar per la miglior canzone originale con tanto di standing ovation al Festival di Cannes.
“Mi chiamo Elton Hercules John e sono un alcolizzato”, con questa frase un’eccezionale Taron Egerton, esordisce interpretando appunto Sir Elton John, la rockstar che negli anni 70 eliminò il dominio della chitarra per fare spazio esclusivamente al pianoforte, al basso e alla batteria… (gli artisti, quelli veri…) ndr.
Il film è un continuo flashback e trasmette davvero l’arte musicale del performer e il sentimento dell’uomo. Racconta non solo la genialità musicale di Elton, arrivato al successo in un lampo, ma anche e soprattutto le sue stravaganze, i problemi con alcol e droga e i suoi amori sofferti e tormentati. La scena del film che maggiormente trasmette il potere della musica, quella vera e ben rappresentata, che dà proprio la sensazione di lievitare ad un metro da terra; è la scena al nightclub Troubador di West Hollywood nell’agosto del 1970, nella quale la rockstar britannica viene introdotto sul palco da un certo Neil Diamond, facendo letteralmente “jump and sing” gli spettatori presenti al ritmo honky tonk della mitica Crocodile Rock. Personalmente ritengo sia uno dei biopic musicale più riuscito, ma è solo un parere.
Tralasciando tanti altri biopic di buona fattura, passiamo a quello di maggior successo in assoluto nonostante le numerose critiche.
Circa quindici anni fa un certo Brian May annuncia che era in progetto un film sui Queen e su Freddie Mercury, (なに?! Che cosa?! – direbbero i Nippo).
Sono stato ovviamente toccato nel mio più profondo intimo musicale, catapultandomi al Wembley Stadium e non solo. E così nel 2018, Bryan Singer dirige e ci regala Bohemian Rhapsody…IN THE LAP OF THE GODS! Il film conquista quattro premi Oscar; miglior attore, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro e miglior sonoro. Dopo alcuni problemi nella scelta dell’attore per rappresentare Freddie Mercury, il più carismatico frontman di sempre, la scelta definitiva ricade sul talentuoso Rami Malek mettendo definitivamente tutti d’accordo, anche me. L’esuberanza intenzionalmente teatrale e le innovazioni musicali della band britanniche note a tutti, sono descritte quasi alla perfezione, considerando anche e soprattutto il fatto che il film sia molto incentrato sulla vita di Mercury, la storia narrata segue una certa fluidità nonostante le inesattezze storiche. John Deacon non è entrato nei Queen insieme a Freddie Mercury. Il personaggio di Ray Foster è fittizio e vagamente ispirato al capo della EMI Roy Featherstone. Anche se, l’auto omaggio di Mike Myers (che interpreta Foster), al suo estroso film “Fusi di testa”, nel quale una delle scene più iconiche è proprio quella in cui lo stesso Mayers e i suoi amici fanno headbanging sulle note di Bohemian Rhapsody, direi che è davvero geniale.
“…Quella è il tipo di canzone che i teenager ascoltano a tutto volume in auto scuotendo la testa! Bohemian Rhapsody non sarà mai quella canzone…” Chapeau!
I Queen non si sono mai sciolti, quindi nella realtà l’esibizione al Live Aid non rappresentò una reunion, i quattro membri si erano esibiti insieme una settimana prima a Osaka per l’ultima data del The Works Tour. Freddie Mercury scoprì di essere positivo all’HIV non nel 1985 ma dopo il Live Aid, tra il 1986 e il 1987, arco temporale non coperto dal film. Non vengono rispettati i tempi cronologici di alcune canzoni (Seven Seas of Rhye, Fat Bottomed Girls, We Will Rock You) e del concerto di Rock in Rio 1985. Ma nonostante tutto il film è notevole, sia per l’interpretazione degli attori (molto simili agli originali), per l’apparizione di May e Taylor nella scena del Live Aid e anche perché non credo che qualcuno sia riuscito a rimanere in silenzio per tutta la durata della pellicola, senza nemmeno canticchiare uno dei fantastici brani della band inglese.
Attualmente in cantiere vi sono altri numerosi biopic sulle star del panorama musicale mondiale, ma uno in particolare stuzzica la mia curiosità. Il regista Sam Mendes si è preso l’onere, l’onore e anche il rischio direi di dirigere quattro biopic dedicati al gruppo musicale britannico più famoso al mondo, The Beatles. Voci di corridoio dicono che la star di Il Gladiatore 2 Paul Mescal vestirà i panni di Paul McCartney, la star di Saltburn e Gli spiriti dell’isola Barry Keoghan sarà Ringo Starr, Joseph Quinn sarà George Harrison e Harrison Dickinson nel ruolo di John Lennon. E la controversa Yōko Ono? Quasi sicuramente sarà la vincitrice dell’Emmy e del Golden Globe proprio per la sua eccezionale interpretazione di Mariko nella serie Shōgun, Anna Sawai! Tanta roba direi!
I biopic insomma a seconda del taglio narrativo adottato e della fedeltà con cui vengono realizzati e la bravura del regista, rievocano la vita e le azioni di quei personaggi che di certo hanno meritato nel bene o nel male di essere ricordati e immortalati attraverso la cinematografia.
Personalmente li reputo interessanti e in un certo senso istruttivi, nonostante il fatto che spesso possano risultare molto romanzati, anche se non supereranno mai un buon libro. Il valore del ricordo è qualcosa di magico, raccontarlo è un prezioso antidoto per la malinconia.

About the author

Marco Sampietro

Sono il samurai partenopeo, figlio degli anni ’80. Scrivo, racconto e imparo senza mai sentirmi “arrivato”, altrimenti sarei già carne morta. Pubblicista, autore e…giurista, sempre aperto al confronto. Appassionato amante del paese del Sol Levante, dove il futuro esiste poiché legato e mai lontano dal suo misterioso passato. Ascolto musica H24, curiosando nei suoi meandri, attraversandola in tutti i sensi, perfetta compagna di scrittura insieme al profumo di incenso di hinoki e una tazza di buon matcha, ampiamente sostituibile con una sacra birra. Sono ciò che sono come ognuno di voi, complesso ed unico. Oso per la conoscenza di ciò che spesso non si nota, adoro la libertà di pensiero.

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