Come ho già scritto, la musica è l’arte popolare più vicina alle persone. Soggettive e spesso casuali sono le scelte per ognuno di noi. Come è successo al sottoscritto. Verso la fine degli anni ’70 cercavo di sbancare il lunario facendo il Dj nelle discoteche e nei villaggi turistici. Andavo per suonare ma spesso venivo suonato, perchè non mi pagavano oppure mi pagavano poco. La Disco Music imperava alla grande,il suo dominio era diventato una ossessione. Fu proprio tra un trenino alla Meu Amigo Charlie Brown ed un pezzone del mitico Barry White che una sera, qualcuno lasciò sulla consolle della mia regia una musicassetta,con scritto: The Blues. Un segno del destino?
Quel nastro mi ha aperto un mondo, che fino a quel dì conoscevo solo marginalmente. Il Blues cominciò a far parte della mia vita, grazie anche alla sua fantastica e tormentata storia. Quella di un popolo che cantava il dolore e la miseria per trovare la forza di spezzare le catene ignobili della schiavitù. Nel Sud sono nati i primi cantautori che, con chitarre fatiscenti, suonavano nei più malfamati Juke Joint. Li chiamavano Barrelhouse. Bettole in Italiano. Per cachet qualche dollaro oppure una bottiglia di vecchio Bourbon. I nomi più blasonati: Skip James,Robert Johnson e Son House.
Autori che hanno dato un notevole impulso allo sviluppo del Blues,ed influenzato molti musicisti moderni,anche attuali. Dei tre Son House è stato quello che ha vissuto di più. Una figura di rilievo nel panorama del Delta Blues. A causa dei numerosi trasferimenti la sua carriera ha avuto un percorso altalenante,al punto di pensare di appendere la chitarra a un chiodo.
Dick Waterman, scrittore e noto promotore del mondo blues, forte del materiale che aveva in mano,lo convinse a desistere. Poco dopo divenne il suo manager. Da li tutta una serie di incisioni ed esibizioni live. Son House muore nel 1988 e Dick Waterman continua a gestire il suo patrimonio artistico,che vende a Dan Auerbach chitarrista dei Black Keys.
Forever on My Mind fa parte di questo materiale. Un disco uscito nel 2022 di un concerto registrato nel 1964 presso il Wabash College di Crowfordsville in Indiana. Un album storico che contiene alcuni brani del suo repertorio, mentre la canzone che dà il titolo all’album è un inedito assoluto. Ho riascoltato il disco da poco e ogni volta ne rimango affascinato per la sua semplicità disarmante.
Un vero One Man Band, solo chitarra e voce e niente orpelli vari. Sette tracce in grado di incantare. Tra queste anche la famosa Death Letter. Il brano che in molti hanno suonato, anche in tempi non sospetti. Famosa la versione dei White Stripes. Se si ama il Blues,quello vero, non si può non possedere questo disco.
Un grazie sincero va a Dan Auerbach,per il coraggio che ha avuto nel mettere sul mercato questo lavoro. Son House meritava questo riconoscimento. In fondo credo che alla base di tutto ci sia sempre il grande amore per quello che si fà e la voglia di continuare per andare avanti.