Una strana sensazione l’accompagnò per tutta la giornata. Rientrando da lavoro, decise di fermarsi in quella casa abbandonata. Doveva pur esserci qualcosa, altrimenti per quale motivo continuava a sognarla notte dopo notte? Un messaggio onirico criptato che poteva svoltarle per sempre la vita? Ne avrebbe avuto bisogno, proprio ora che sembrava andare tutto a rotoli.
Così, fiduciosa e ottimista, quel pomeriggio, aveva raccolto il coraggio e due mani e era entrata in quella selva oscura che un tempo era un roseto bellissimo.
L’aveva attraversato e aveva raggiunto un piccolo cancello, al di là del quale si snodava un sentiero, ormai inghiottito dalla selva. Fu molto difficile aprire il cancello perché la terra bloccava il passaggio. Alla fine ci riuscì, tirò un sospiro di sollievo e percorse il piccolo sentiero, sfilacciandosi caviglie e vestiti. Davanti al portone, scostò una piccola ciotola di pietra e trovò la chiave. Era sicura di trovarla ancora li. La serratura era arrugginita ma con un solo giro riuscì ad aprire il portone.
Incredibilmente, niente era cambiato. Una fioca luce entrava a stento dall’enorme vetrata della veranda, i drappi e le tende impolverate sembravano essere diventati ancora più pesanti. Si avventurò nel soggiorno passando davanti all’enorme libreria ed ebbe un sussulto; voltandosi verso la poltrona le parve di vedere suo nonno: le mani grandi e nervose reggevano il solito libro e solo si intravedeva la fronte rugosa, la testa pelata, quell’orecchio leggermente a sventola. Eccola, quella strana sensazione tornare alla ribalta.
“Ci sono, sono vicina. Eccomi, sono qui, fammi vedere”, forse lo sussurrò mentre lo pensava.
Guardò in fondo al corridoio, da lì sembrava provenire un intenso profumo di aromi soffritti e udì il rimbombo di un lavorio di pentole e mestoli. Un sentimento di paura si impossessò di lei. Cosa stava succedendo la dentro? Dalla poltrona era scomparsa la visione del nonno ma il resto era così prepotentemente sensazionale, che ogni sua sensazione ne era pervasa. Si levò i tacchi, pieni di terra e continuò scalza, il passo concitato, la schiena dritta, l’adrenalina alle stelle. Entrò in cucina e le vide: le pentole sul fuoco acceso, il camino con le braci ritirate sotto la graticola che abbrustoliva del pane. Un cestino sopra la tavola con dei dolcetti dall’intenso profumo di mandorle e arancia e un piatto sulla tovaglietta di lino, col suo bicchiere abbinato e le posate. Era tutto pronto ma non c’era nessuno.
Si sedette e cominciò a mangiare un pezzo di pane ancora caldo. Poi pensò: “che diavolo sto facendo? devo aver perduto il senno”. Eppure era tutto così reale e efficacemente consolatorio che le dispiaceva indagare oltre, verificare perché stava vivendo quelle cose. Decise di affrancarsi dalla ricerca della verità e continuò a godersi l’illusione. Dal soggiorno, la voce del nonno prese a declamare ciò che leggeva, e all’improvviso quella della nonna: “La rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”.
“Grazie, Rosa”, disse il nonno e le loro risate si mescolarono in una musica.
Fu in quel momento che decise che sarebbe rimasta li per sempre, e in quel preciso istante, suonò di nuovo la sveglia. Quasi voleva piangere. Invece rise, trovando consolazione nella sensazione di sentire ancora il profumo di mandorle e arance.
Eh ne stavano succedendo di cose strane nella vita di Rosa, ma quando entrò in cucina e trovò il pane abbrustolito, sistemato sulla sua bella tovaglietta di lino e il libro del nonno a fianco, pensò che di impossibile non era rimasto niente.
Rosa
Fu in quel momento che decise che sarebbe rimasta li per sempre, e in quel preciso istante, suonò di nuovo la sveglia