«”Qual è la forma dell’acqua?”». «”Ma l’acqua non ha forma!” […]
“Piglia la forma che le viene data”».
Andrea Camilleri, La forma dell’acqua
Le pagine del nuovo libro di Lilla Anagni, professoressa di Discipline Letterarie e Latino presso il Liceo Scientifico “Enrico Fermi” di Ragusa, vogliono essere un omaggio alla forza e alla sorellanza delle donne, ma anche una precisa condanna delle colpevoli afasie da cui sono circondate e delle fatiche che esse devono compiere, se vogliono emanciparsi dalle pastoie di un patriarcato fallocratico, che si nutre di pregiudizio e di ignoranza, sullo sfondo di una Sicilia gretta, atavica e matrigna, spesso sorda ai più elementari bisogni delle sue tante figlie.
L’Autrice elegge a portavoce del suo coraggioso j’accuse la giovane Vittoria, all’apparenza una ragazzina come tante, con sogni e aspirazioni libertarie comuni a molte adolescenti, ma gravati, nel suo caso, dall’incresciosa storia di abuso fisico e psicologico che si consuma pressoché giornalmente tra le mura di casa sua, ove vige l’imperativo – inconsapevolmente foucaultiano – della sorveglianza e della punizione.
Agli occhi di Vittoria, quel luogo, al quale normalmente si associa una idea quasi inconscia di rifugio e protezione, rappresenta, invece, un’autentica prigione, divenuta tale ad opera del padre, individuo misogino e retrogrado, costituzionalmente «cattivo e basta» (p.69), che vede in lei e nella madre la più aperta minaccia all’affermazione di una identità debole e fallace, legittimata, come troppo spesso ancora accade, soltanto dal puntuale e sistematico ricorso alla violenza.
Con grande sensibilità, nel corso del libro, l’Autrice prende le mosse dalla, ahinoi!, classica dicotomia vittima/carnefice, incarnata alla perfezione dalla madre della ragazza, vittima sacrificale, consenziente fino alle estreme conseguenze di un marito/padrone, e se ne allontana occasionalmente per passare in rassegna, attraverso la voce monologante di Vittoria e il flusso incontrastato dei suoi ricordi, le molteplici – e più o meno subdole – forme che il dolore e la violenza possono assumere, quando attecchiscono e si consumano in contesti socialmente marginalizzati, marginalizzanti o disfunzionali. Dunque, per mezzo del sapiente uso del flashback, il romanzo monologante diviene corale e la storia, il corpo, la voce di Vittoria, nonché la sua coraggiosa lotta per la ricomposizione e riappropriazione della propria identità, segnata da una ferita dell’origine, restituiscono, tra gli altri, dignità a Peppuccio, morto di overdose su una panchina, a Mariella, incinta a tredici anni del figlio del macellaio, incastrata dalla sua stessa famiglia in una coazione a ripetere che la vuole, anzi la esige, moglie e madre, prima ancora che Persona, e ad Agata, che perde il suo bambino in una pozza di sangue perché costretta a svolgere un lavoro di fatica, in assenza del quale non potrebbe mantenersi.
In ultimo, le pagine di Vittoria sono anche, nelle intenzioni di Lilla Anagni, un’inesausta professione d’amore e di fiducia nei confronti della Scuola e del valore dell’istruzione: non è certamente un caso, se l’Autrice conferisce alla sua protagonista i tratti di una studentessa sensibile e brillante, lettrice appassionata e vorace, che, in un primo momento, trova (diremmo quasi boccaccianamente) nei libri e nella Letteratura una salvifica alternativa all’angustia quotidiana della sua realtà, e in seguito, coadiuvata in segreto dalla nonna paterna, si serve della propria passione per lo studio per allontanarsi da casa e approdare a Palermo, metropoli che, nell’accezione etimologica di città-madre, le schiuderà le porte di un mondo finalmente a colori, costellato di presenze maschili – gli zii paterni, così distanti dall’ottusità del loro consanguineo, il cugino Salvatore, il collega universitario Giorgio – affettivamente funzionali al suo tortuoso percorso di formazione.
Un percorso scandito a più riprese dall’ossessiva necessità di espiare – proprio come suggeriscono il titolo e le numerose spie infratestuali disseminate nel romanzo – un dolore che in fondo non le appartiene, se non per procura, ma che l’ha forgiata, impedendole per lungo tempo di tradurre in realtà quel destino di libertà e di emancipazione racchiuso nello sfolgorio del proprio nome di battesimo, impostole, quasi per gioco, proprio dall’odiato padre.
Con Vittoria, Lilla Anagni ci consegna non solo il libro di una donna per le donne, ma anche un prezioso ordito di solidarietà femminile e di coraggio, in nome del quale tenersi, tenerci, tutte per mano può voler dire aver ragione della latente oscurità che ancora minaccia la nostra Luce.
Vittoria. Una vita da espiare
Leonida Edizioni, 2024, 200 p., copertina di S. Bracchitta