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Anthropine sophia 

Scritto da eineBerlinerin

 

La donna camminava senza bussola, con i passi che rimbombavano come in una stazione vuota. Ogni porta che apriva era un corridoio diverso della sua stessa mente: scale che salivano in alto e si dissolvevano nell’aria, specchi che riflettevano mille volti, nessuno suo.
Si fermava, guardava il riflesso e sentiva il gelo della domanda.
“Ma dove è finita?”
La voce le uscì spezzata, come se parlasse da una gola non sua.
Dalle ombre una presenza si fece vicino, una donna con gli occhi vasti come notti d’estate.
“Cosa stai cercando?” chiese piano, con la dolcezza di chi sa già la risposta.
“Me. Ma non riesco a trovarmi.”
Allora l’altra sorrise, ma non era un sorriso leggero: era un varco. 
“Forse ti stai cercando dove non sei. Tu non abiti nei frammenti che hai perso. Tu sei in ogni volta che tremi, in ogni desiderio che hai soffocato, in ogni parola che non hai detto.”
L’invito continuava:
“Ti sei cercata nelle macerie, nei resti, nelle parole che hanno lasciato ferite. Ma non sei lì. Non sei nei frammenti che ti hanno tolto. Sei nascosta nei tuoi slanci, nei tuoi desideri mai osati, nei tremiti che hai soffocato per paura. Sei nei sogni che hai smarrito, ma che ti bruciano ancora nelle vene.”
La donna abbassò per un momento lo sguardo. Attorno a lei le città interiori si moltiplicavano: piazze senza statue, stanze con finestre cieche, biblioteche piene di libri con le pagine bianche. Non c’era nulla da leggere, eppure le dita le tremavano come se avessero toccato la propria assenza.
“E allora dove sono?” domandò, quasi supplicando.
L’altra le si avvicinò, e con un gesto lento le sollevò il mento.
“Sei qui. Sempre stata qui. Nel corpo che trema, nelle mani che cercano, nella voce che ancora osa confessare di essersi persa. Sei in me che ti guardo, e nel tuo riconoscerti attraverso i miei occhi.”
La donna la fissò talmente tanto  che improvvisamente il labirinto svanì. Non più specchi, né porte, né corridoi senza fine. Solo un letto disfatto, due respiri che si cercavano, e la certezza che non si era mai perduta del tutto. Si era soltanto nascosta, in attesa di essere trovata da chi sapeva toccarla senza chiedere prove.
Allora capì: non si trattava di ritrovarsi, ma di imparare a lasciarsi vedere.

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eineBerlinerin

Sono figlia del mio tempo e cerco il mio linguaggio dopo aver attraversato il dolore vero, quello grande e profondo che pare spaccarti il cuore. A cui io ho deciso di sopravvivere cambiandogli semplicemente una lettera, e così il dolore è diventato colore

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