Yosonu è il progetto solista di Giuseppe Costa, batterista di diverse formazioni di generi diametralmente opposti, dal Death Metal al Reggae, docente di propedeutica musicale per bambini e adulti, compositore e anche architetto. Con il progetto “Yosonu” cambia drasticamente rotta sperimentando e sviluppa l’idea di comporre musica contemporanea senza la presenza di alcuno strumento musicale. Il corpo (inteso come body percussion), gli oggetti di uso quotidiano e la voce (in tutte le sue possibilità) sono i soli “strumenti” su cui si sviluppa l’idea Yosonu. L’approccio della musica del corpo e degli oggetti “a costo zero” è inoltre alla base dei laboratori di propedeutica musicale per bambini di cui si occupa Peppe, sviluppati in parallelo al suo percorso di studi della linea pedagogica Orff Schulwerk presso la sede italiana a Roma. Ha alle spalle quasi 300 concerti in 4 anni, anche in Inghilterra, due dischi (GiùBox/ Happy Loser), 12 tour e vanta il patrocinio di Legambiente per il riuso degli oggetti e riciclo dei materiali in un live senza strumenti convenzionali.
Quasi 300 concerti in 4 anni, anche in Inghilterra, 2 dischi, 12 tour, patrocinio di Legambiente per il riuso degli oggetti e riciclo dei materiali in un live senza strumenti convenzionali. Cos’è Yosonu e come nasce?
E’ il mio viaggio da 4 anni a questa parte, un percorso di ricerca continuo e stimolante. Nasce dalla semplice volontà di comporre musica usando il suono di ciò che mi circonda, gli oggetti di uso quotidiano e i materiali di scarto, uniti alla voce, ma privata del suo valore semantico, finora.
Happy Loser è il tuo nuovo lavoro in studio che arriva dopo il primo disco GiùBox. Che tipo di lavoro è e che strumentazione hai usato? Quanto ha influito la sperimentazione?
Per Happy Loser ho cercato di ampliare il range sonoro spostandomi anche su oggetti più grandi, di taglio industriale. Ho registrato dei silos metallici in un oleificio in Sicilia, dei grossi bidoni di plastica, delle barre di metallo e via dicendo. In più ho costruito un pezzo con porzioni di loop dei suoni usati per le risonanze magnetiche. Rispetto a GiùBOX volevo usare più distorsori, cercavo sonorità un pò più acide e volevo spostarmi su ritmiche più scomposte e meno lineari. Anche sulla voce ho deciso di fare dei cambiamenti, nessuna traccia infatti contiene voci “pulite”, in più un pezzo (1980) ha la voce del traduttore di google che “recita” al posto mio. Era importante, per me, spostare in qualche direzione il lavoro, muoversi dalla zona che ormai conoscevo bene, per trovare stimoli nuovi e per muovere il sound dove desideravo portarlo prima delle registrazioni, è un lavoro che risulta essere più scuro del precedente.
Cos’è la sperimentazione per Yosonu?
Allontanarmi da cose che ho già fatto o sentito, cambiare traiettoria e, dal vivo, suonare in maniera spontanea. Utilizzo materiali che hanno molte risorse, ma hanno anche molti limiti, proprio perchè non sono stati progettati per le caratteristiche del loro suono. E’ anche per quello trovo stimolante cercare oggetti che possano produrre suoni da poter manipolare, in maniera diversa ogni volta. Allo stesso modo sulla voce l’uso della parola perde la funzione semantica a favore della sola timbrica e ritmica, successivamente alterata/filtrata, così la voce diventa basso oppure fischio, o diplofonica.
Che riscontro hai con il pubblico? Come si approcciano a questo tuo progetto?
La curiosità di capire come si possa fare musica con gli oggetti è la cosa che di più fa avvicinare le persone alla mia postazione, nei live. Non mi piace però l’idea che sia solo questo “circo di oggetti sonanti”: il live è sempre diverso, composto da tre o quattro suite spontanee in cui provo a cercare cose che mi stimolino e divertano, in maniera davvero autentica. Immaginalo come una finestra dalla quale spiare il momento compositivo libero, finalizzato alla sola esperienza estemporanea e non ad una resa esteticamente ricercata. Mi piace decomporre, assemblare, smembrare i brani e quando sono arrivato ad un punto nel quale “ripeterei qualcosa” allora fermo la loop station e pongo fine a quella improvvisazione: appena mi affeziono a qualcosa che sto suonando mi costringo a chiudere, a terminare, ad “ucciderla” in un certo senso.
Hai fatto diverse performance in duo anche, con Paolo Tofani, chitarrista degli Area nel progetto Battiti Alti. Cosa ci racconti a riguardo?
Paolo è stato ed è un incontro Umano altissimo. Sono un fan degli Area, ovviamente, e mi sento davvero un privilegiato nel poter esplorare territori musicali per me nuovi, assieme a Paolo. Quando ci vediamo per suonare parliamo per ore e ore, e da queste riflessioni nascono le sonorità, le ritmiche, il corpo delle improvvisazioni che faremo la sera. Non esagero quando lo definisco una colonna importantissima, fondamentale, della musica spontanea, libera e davvero sperimentale. Il suo viaggio musicale continua a raggiungere nuovi lidi, nonostante sia iniziato tantissimo tempo fa.
Avresti voluto esibirti in un’altra epoca o sei felice di poterlo fare in questo periodo storico?
A chi non piacerebbe vivere le diverse “epoche” musicali? Anche solo come ascoltatore e fruitore non so cosa darei per vivere l’attesa di un nuovo disco dei Beatles o dei Led Zeppelin, attendere di capire cosa l’universo Pink Floyd ci possa regalare col un nuovo lavoro e via dicendo. Tuttavia la velocità con cui mutano e si espandono le varie facce della musica, della società e dell’arte in particolare, ci offre davvero infinite possibilità delle quali noi abbiamo il privilegio di approfittare. Forse l’ascoltatore dei 60/70 sognava l’esatto contrario, di spiare cosa potesse accadere alla musica ai tempi nostri e nel futuro ancora più anteriore. In definitiva, si, sarebbe bello poter esplorare le condizioni sociali ed artistiche di diverse epoche e comprendere sulla propria pelle il perchè di determinati movimenti o tendenze, ma mi sa che tocca accontentarsi di questo momento e di quelli che verranno, dopotutto le sorprese non mancano nemmeno ai giorni nostri, non trovi?