Capitolo 2.1 (parte 20) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione. Un americano in vacanza (’45) di Luigi Zampa; commento musicale di Nino Rota e canzoni di Giovanni D’Anzi
Ad aprire i titoli di testa è l’inno militare appartenente alle forze alleate, mentre vediamo l’inquadratura fissa sulla grande e bella piazza di San Pietro. Ad eseguire l’inno ci pensano gli ottoni che danno così ancora di più l’idea militaristica e trionfalistica dell’importanza delle forze alleate per la nostra liberazione. E’ infatti proprio attraverso una fanfara, e non attraverso una esecuzione di carattere bandistico, che riusciamo a cogliere il significato profondo di quella liberazione, seguita ad una delle più cruente guerre che la storia ricordi.
Di fatto, la differenza fra fanfara e banda è notoria: la prima è costituita solamente da ottoni. Essa, da sempre nella storia, è un breve motivo musicale con funzione di segnale nelle battaglie, usata sovente in occasione di cerimonie militari, di feste civili, di partite di caccia. Appena terminato il breve cenno dell’inno, sentiamo l’orchestra “classica” entrare e proporre una melodia che subito denota l’italianità della sua ispirazione, con quei suoi accenti tipici di una stornellata nostrana, contrappuntata, però, dai fiati che ricordano quelli di una orchestra jazz americana.
Capiamo, così, che l’incontro musicale fra i due motivi differenti avrà il suo parallelo su quello dei personaggi del film e delle due culture che, per motivi contingenti, vengono a contatto. Il film tratta di due soldati americani che ottengono una licenza premio di una settimana a Roma e, durante il viaggio, incontrano una maestrina che chiede soccorsi per il suo paese devastato dalla guerra. Uno dei due si innamora della ragazza che, seppur non insensibile, mantiene all’inizio un certo distacco. La musica evolve poi, attraverso il rullare dei timpani, in un graziosissimo valzer viennese, costeggiato sempre dai fiati che mantengono viva la presenza dello swing americano, quasi a volerci suggerire quel ballo fra i due presunti innamorati, in cui la donna appare quasi stordita, lasciandosi andare ai volteggiamenti della vita e dimenticando per un attimo le tragedie della devastazione. Già nei titoli di testa abbiamo una sintesi eccellente e suggestiva della trama del film, concepita da un musicista come Nino Rota che, seppur alle prime armi, appare, nel cinematografo, uomo di sicuro mestiere ab origine.
Vediamo i due soldati, Dick (Leo Dale) e Tom (Adolfo Celi), scavare buche per latrine in un campo degli alleati. La loro conversazione in americano ci informa del desiderio di raggiungere Roma per andare alla ricerca delle sue “bellezze” che non sono i monumenti, ma le donne. Ottenuta la vacanza premio, si avviano su una jeep militare verso la città agognata. Mentre viaggiano felici, eccoli cantare una canzoncina in stile italo-americano, il cui testo si rivela essere una chiara glorificazione di Roma, non comparabile a nessun’altra città al mondo. La musica esterna che li accompagna è una melodia tipicamente italiana, ottenuta, però, da una fusione fra lo stile dixieland (vengono usati strumenti come la cornetta, il contrabbasso, il clarinetto, il violino e la batteria) e lo stile del nostro teatro di rivista e di cabaret. Anche qui, insomma, c’è quel continuo intrecciarsi fra le due culture che, seppur molto differenti fra loro, hanno sempre simpatizzato, trovando il modo di unirsi in maniera elementare e schietta.
Qui, inoltre, è dato ravvisare il primo forte intervento (e anche l’ultimo) del musicista Giovanni D’Anzi, il quale al cinema ha sempre e solo dato, in prevalenza, canzoncine. Durante tutto il film i suoi altri interventi sono poco ravvisabili, poiché il commento vero e proprio è di Rota; nelle musiche provenienti dalla pellicola sentiamo degli arrangiamenti di musica americana che potrebbero essere stati fatti da entrambi i musicisti, non portando un reale carattere distintivo ed individualizzato che li possa contraddistinguere in maniera netta. Che si tratti di Boogie-woogie, di jazz o di nostre melodie etniche eseguite dalla fisarmonica, non ci è dato sapere a chi appartenga il loro arrangiamento e, in ultima analisi, non ha poi una grande importanza nell’economia drammatica del film, visto che sono poste in maniera “scenografica” , quasi da arredamento, nei confronti dell’azione.
Quindi in tale film è logico dedurre che l’analisi musicale verterà più sui temi melodici propinati da Rota che su quelli “invisibili” di D’Anzi.
Segue nel prossimo numero a settembre! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano