Fotografie di Daniele Modaffari
Ci sono due certezze in questo 28 luglio 2023 del Balena Festival.
La prima è che se suonano a Genova gli Zen Circus questo è garanzia di divertimento, quello che fa ridere, che fa ballare, che fa commuovere con il sorriso. Che soprattutto fa cantare, fino a perdere il fiato insieme ad Appino. La seconda, invece, è una regola letteraria – di scrittura creativa, si potrebbe dire – che si chiama “la pistola di Čechov”: se nella storia compare una pistola, questa prima o poi sparerà.
Mi ritrovo sotto il palco, oltre alle transenne, in mezzo ai colleghi che fotografano, riprendono; ed io ho quel senso di disagio che ho avuto la prima volta che sono andato con gli amici in una saletta di registrazione. Io non sapevo suonare nulla, stavo lì, guardavo, immaginavo e mixavo le fantasie alle loro note.
Insieme, però, ho quel senso di meraviglia che Caparezza ha inseguito molto nella sua ultima opera; così, alla sua domanda “Dove sei meraviglia?” io mi rispondo immediatamente “Qui, sei qui meraviglia!”
Aprono con La terza guerra mondiale, il pubblico freme aspettando quella confidenza che fa degli The Zen Circus gli Zen Circus.
Ancora lì, a bordo palco, noto un pennarello proprio sotto i piedi di Appino che, subito prima di Catene, lo calcia: questo rotola velocissimo e me lo ritrovo in mano.
È finito il disagio: mi hanno detto loro cosa ci faccio in mezzo a tutti quegli obiettivi. Devo raccontare.
Tanta è la paura dentro le loro canzoni quanto è il coraggio del loro canto e del loro abbandono musicale: sono un gruppo sociale, nel senso che hanno bisogno di una spalla con la quale condividere tutto. Come tutti noi. E infatti noi siamo loro e loro sono noi.
Lo dicono e lo diciamo: “Avrei voluto dirle, avrei voluto urlare/Che l’ho sempre saputo e nonostante il dolore/Anche quando tornava distrutta da lavorare/Anche quando ci urlavamo contro tutto il male/Se l’amore non so darlo, se non ne so parlare/ Dentro una chitarra, l’ho provato a immaginare” (Catene).
Da buoni toscani rappresentano alla perfezione la salita delle periferie (Il fuoco in una stanza), intese come margini, ma anche quell’indomabile istinto di disobbedienza profana e volgare che non è altro che una forma di Resistenza moderna verso le Dittature moderne (Andate tutti a fanculo, Il mondo come lo vorrei, Canta che ti passa). E non è un caso che piova a dirotto, e non è un caso che tutti, dopo, si sta molto meglio. Lavati dei pensieri.
Per permettere una pausa sigaretta a Ufo, Il Maestro e Karim, Appino e Il Geometra regalano una versione piano e voce de L’amore è una dittatura, forse la canzone-manifesto degli Zen: la poesia, l’amore, la rivoluzione, l’anarchia, il contropotere, la controcultura, la felicità e la disperazione, il lavoro. La speranza che ci sia qualcuno là fuori “per urlarti in faccia che sei l’unica, sei il solo”.
Nessun ritornello. Come nella vita.
È stato bellissimo e bellissimo è andare a dormire convinti che “Vivi si muore, tanto vivi si muore” (Viva) e, ancora di più, “che anche morti si vive, non fatelo mai. Mai!”.
Grazie Zen. Soprattutto per il pennarello con cui ho scritto tutto questo.