Le parole a cui Rupi Kaur, poetessa e artista canadese di origine indiana, ci ha abituati sono cuciture d’oro su crepe invisibili, carezze per chi ha imparato il dolore prima dell’amore. Il suo verso è un battito che non teme di sanguinare, che rivendica spazio per il corpo, per la voce, per la vulnerabilità. Poetessa della fragilità e della forza, ha trasformato la cicatrice in arte, la vergogna in orgoglio, il silenzio in rivoluzione. Nel 2015 ha fatto scalpore con le sua poesia visiva che contribuì ad aprire un dibattito globale sulla stigmatizzazione del ciclo mestruale.
“Il modo in cui ti ami è il modo in cui insegni agli altri ad amarti”
Amarsi è un atto di rivoluzione silenziosa, un confine tracciato con dolcezza e fermezza. Se impariamo a rispettarci, a riconoscere il nostro valore, a trattarci con gentilezza, insegneremo al mondo a fare lo stesso. E se qualcuno tenterà di spegnerci, di ferirci, di sminuirci, sapremo riconoscere il veleno travestito da affetto. Perché chi si ama davvero non accetta il dolore come prezzo, non si lascia maltrattare, non confonde la sopportazione con l’amore. Siamo la misura di ciò che permettiamo, e nella nostra luce nessuno ha il diritto di gettare ombra.
Amarsi non è un atto solitario, ma una dichiarazione aperta: insegniamo agli altri come trattarci nella misura in cui ci trattiamo. E in questo specchio di cura, la poesia diventa vita.
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