“Mi ritengo una femminista di questo tempo e trovo ipocrita che sia considerata una parola scomoda. Ho sempre pensato che le donne avessero un ingiusto svantaggio sociale, pur essendo biologicamente più forti. Ma qui non è una gara a chi lo è di più: si tratta di uguaglianza, si tratta di avere gli stessi diritti. Purtroppo non è ancora così. Mi definisco femminista anche perché sono una donna autonoma e capace di scegliere liberamente. Dall’intervista di Barbara Bonomi Romagnoli, Paola Turci: «La felicità ha bisogno di partecipazione», corriere.it, 22 giugno 2018.
Definirsi femminista oggi significa affrontare una sfida, perché questo termine porta con sé un’eredità complessa e troppo spesso fraintesa. Troppo spesso, infatti, questa parola viene percepita come sinonimo di antagonismo nei confronti degli uomini, quando in realtà il suo significato autentico è ben più profondo e inclusivo. Eppure, anche tra coloro che si riconoscono in questo movimento, esistono divergenze di opinione, perché la lotta per l’uguaglianza non è ancora un percorso lineare né uniforme.
Forse dovremmo fermarci tuttə a riflettere su cosa rende uniche le donne. Interrogarci su questi aspetti ci permetterebbe di costruire un’identità femminile collettiva, capace di andare oltre le percezioni individuali e di affrontare, con maggiore consapevolezza, i pregiudizi che ancora persistono e che non appartengono solo ad alcuni uomini; pregiudizi antifemminili esistono non solo in alcuni uomini ma anche in tante donne.
L’evoluzione più grande, però, sarebbe riuscire a superare la logica della contrapposizione e dell’antagonismo e trasformare la diversità in una risorsa preziosa, anziché in un terreno di scontro. Non più una battaglia ma una proposta di cambiamento che abbracci le differenze, senza giudizi né preconcetti, aprendoci finalmente a una nuova forma di equilibrio e di società.
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