Interviste VLS (Vedere Leggere Sentire)

Simone Cristicchi, il poeta degli ultimi

Scritto da Lucia Castagna

Fa uscire suoi dischi solo quando sente di avere cose importanti da dire, senza pressioni né scadenze. Perché la musica possa essere veicolo di messaggi, senza retorica, magari terapeutica, per avvicinarci alla luce. Anche Quando sarai piccola, la sua canzone di Sanremo, è nata così, con quella felicità che nasce dal prenderci cura gli uni degli altri.

Artista sensibile e poliedrico, cantautore, attore, disegnatore, scrittore, esploratore mistico delle sfere filosofiche, spirituali, interiori, stralunato cantore degli ultimi, clandestino tra la gente che ha rinunciato alla propria identità per essere tutto, difensore della sua unicità quando opera nell’ombra per diffondere la luce, fiero di sentirsi parte di tutto senza appartenere a niente, Simone Cristicchi è tornato a Sanremo con una canzone che arriva dritta al cuore, perché è vita vera, la sua vita, vissuta giorno per giorno e raccontata come mettendosi a nudo, con la sua sofferenza ma anche con un senso di accettazione.

E’ stato difficile scrivere questa Quando sarai piccola?
“Non è stato semplice, né privo di emozioni. L’ho scritta partendo da una storia personale, ripercorrendo alcune pagine del libro HappyNext. Alla ricerca della felicità. Alcuni anni fa mia madre è stata colpita duramente da un’emorragia cerebrale. Era in casa da sola, e noi figli ci siamo accorti delle sue condizioni troppo tardi. Da lì, lunghe settimane di terapia intensiva, e poi il risveglio: un miracolo che la scienza non riusciva a spiegare, ma lei non era più la stessa, era tornata bambina. Sorride, sorride sempre. La canzone era ferma in un cassetto da cinque anni, e forse aspettava il momento giusto per poter essere cantata davanti a milioni di persone, anche perché è una storia che può appartenere alla vita di tutti, con un effetto terapeutico. Ho cercato di non essere retorico, perché in un attimo si può scadere nel patetico, e certi argomenti bisogna trattarli con i guanti di velluto. C’è voluto molto tempo per cesellare questi versi. Mi sono concentrato soprattutto sulla tenerezza nel vedere una madre anziana che ritorna bambina, sul senso di prendersene cura, e inserendo anche quel senso di impotenza e di rabbia che si prova di fronte a questa trasformazione della vita”.

Rabbia che racconti nel verso C’è quella rabbia di vederti cambiare/E la fatica di doverlo accettare.
“A me capita molto spesso di arrabbiarmi per quello che è successo a mia madre. Ma poi penso che se la costante dell’universo è la trasformazione, dovremmo essere disposti ad accettare tutto ciò che cambia di noi. Pure se non è un’impresa così facile”.

Nel 2007 avevi portato a Sanremo le rose in manicomio, adesso parli di figli che si prendono cura dei genitori che tornano bambini, testi laceranti e commoventi.
“Parlo di vita vera, autentica. Credo che questa credo che sia una canzone terapeutica, che forse potrà aiutare a sensibilizzare su un tema a mio avviso universale. Perché sono certo che ognuno di noi, nella nostra famiglia o nella famiglia di qualche amico, ha vissuto il momento in cui una persona cara arriva al disfacimento della mente, di cui non si è mai parlato in una canzone…”

Come ti senti in mezzo a tante parole forti, tanti versi arrabbiati e rabbiosi della nuova musica di oggi?
“Il mio è un colore all’interno del mosaico che Carlo Conti ha voluto creare riportando i cantautori all’Ariston, come in una sorta di riserva indiana. Ma non mi sento fuor d’acqua, perché in realtà sono me stesso. Non devo recitare nessuna parte, solo cercare di trasmettere la mia purezza, la mia sensibilità. Essere fedele a me stesso è la corazza più potente che posso portare davanti alla gente”.

Dopo 11 anni dalla pubblicazione dell’ultimo album, nei prossimi giorni esce il tuo nuovo Dalle tenebre alla luce.Perché tutto questo tempo?
“Faccio uscire i miei dischi solo quando ho cose importanti da dire, senza pressioni né scadenze. Ma in realtà questo era pronto già da tempo, con le canzoni scritte per i miei spettacoli teatrali. Erano arrangiate e quasi finite quando ho avuto un grave incidente domestico. In giardino, mentre stavo tagliando con una motosega dei rami per costruire uno steccato, all’improvviso la motosega ha preso fuoco: io mi sono spaventato e sono caduto sbattendo la testa su una pietra molto aguzza, che mi ha lasciato il segno di una cicatrice sulla fronte, quasi come Harry Potter. Quando mi sono ripreso da questo incidente, che poteva essere molto grave, il primo pensiero è stato “pubblico l’album”, proprio perché ho compreso ancora di più che non bisogna perdere tempo. Oggi ci siamo, domani non ci siamo più”.

E la scelta del titolo?
“Credo che il nostro compito sia riuscire ad intercettare tutto ciò che brilla nell’oscurità, riconnettendoci alla parte più autentica in noi: quella scintilla divina che ci permetta di andare oltre l’umano, oltre la materia, e pure oltre questo mondo. Anche la copertina rispecchia questo pensiero: è una nebulosa nel momento in cui esplode, una stella che sta morendo e lascia dietro di sé questa luce meravigliosa. Si chiama “l’occhio di Dio”. E’ una foto incredibile, e l’ho scelta perché è la mia firma di luce in questi tempi oscuri. Citando Dante Alighieri, la nostra vita è un viaggio alchemico in cui dobbiamo attraversare le nostre ombre, le nostre inquietudini e quindi l’inferno che ci abita, e passare in una trasformazione per avvicinarci alla luce, dall’altra parte della realtà. Mi viene in mente la perdita di mio padre, quando avevo dieci anni, e per quel dolore ho trascorso quasi due anni della mia vita chiuso in una camera a disegnare, non volevo vedere nessuno, rifiutavo qualsiasi forma di aiuto. Poi, piano piano, sono riuscito a trasformare quel dolore in qualcos’altro: se non avessi trovato lo sfogo dell’arte e della creatività, iniziando dal disegno e proseguendo con la musica, sarei stato un ragazzo violento, chiuso in sé stesso, forse ancora chiuso in quella stanza”.

Prima la pazzia, adesso la vecchiaia disfatta: da dove viene questa empatia con i più fragili?
“E’ un’attitudine fin da bambino, forse per la mia stessa ero fragilità. Per i miei spettacoli teatrali ho passato due anni con i malati di mente e con chi la mente l’aveva perduta, per conoscere i loro sentimenti, i loro stati d’animo: mi chiamavano “il terrore dei centri anziani” perché volevo stargli vicino, approfondire i loro disagi, i loro dolori, e forse consolarli. E credo che la musica possa essere veicolo di messaggi, di riflessioni su problematiche importanti, anche perché le canzoni hanno per loro natura una grande potenza, e utilizzando sia la musica sia le parole riescono a ispirare il pensiero delle persone che la ascoltano. I grandi artisti che ho ascoltato, Battiato, De André, Fossati e tutti i grandi cantautori, sono riusciti a scavare nel profondo e a mostrare prospettive diverse. Questo è il potere della musica. Ed è per questo che anche io sono qui”.

 

Foto di copertina di Giorgio Amendola

 

 

 

 

 

About the author

Lucia Castagna

Lucia Castagna, innamorata da sempre della parola e delle cose da raccontare, giornalista professionista, è arrivata alle testate
di maggiore prestigio come inviata, capo redattore e direttore. Autore televisivo e docente di comunicazione, sta scrivendo il
suo primo romanzo.

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