Ho aspettato tre giorni prima di scrivere questa recensione. Avevo bisogno per così dire di “prendere le distanze”, come faccio ogni volta che ho vissuto qualcosa di emozionante. Perché è così, dovevo ricominciare a sentirla, la musica. Nella testa, mentre con i pensieri rivivevo tutto quello che è stato. Perché ci sono tipi di musica che si ha bisogno di “sentire” ancora dopo, a mente fredda per un po’. Ed è così, se riesco a rivivere i suoni e le parole vuol dire che mi è entrata dentro, era la musica perfetta. Perché la verità è che quello delle Savages è stato uno dei live più cazzuti a cui ho assistito negli ultimi tempi. 13 marzo 2016. Unica data italiana per Jehnny, Gemma, Ayse e Fay, la band londinese post-punk revival rock. E così eccomi lì ai Magazzini Generali, con tutta la voglia di ascoltarle e “viverle”. Ed è stato tutto come mi aspettavo. E anche qualcosa di più. E’ stato il riconoscimento del loro manifesto, della forza del loro messaggio che è perfettamente rappresentato nell’immagine del pugno sulla copertina del loro nuovo album. Sì perché chi conosce la band lo sa. Le Savages cantano che “Il rock è libertà. E che non importa quanto il mondo faccia schifo, c’è sempre qualcosa di buono intorno.” E’ così. E’ filosofia pura straordinariamente gridata con forza e delicatezza insieme, con il loro stile coinvolgente e dannatamente elegante. Sono le Savages.
Le quattro ragazze entrano con i loro abiti scuri e iniziano lo show con “I am here” trascinandoci da subito nei suoni intensi del loro inno dark, coinvolgente con i suoi cambi di ritmo nei ritornelli incalzanti in cui si accelera freneticamente per poi riprendere fiato nei rallentamenti delle chitarre. E la verità è che vorresti chiudere gli occhi e lasciarti solo portare dalla musica, ma non puoi. Perché non riesci a staccarli da Jehnny, la frontlady. Lei ti cattura con la sua spettacolare presenza scenica e la sua personalità. Ci è vicina, cammina su un pubblico ben contento di accoglierla e sostenerla, ci guarda in faccia quando ci canta di non cedere, di essere forti. E’ umana quando prende un biglietto dalla tasca del jeans e legge con il suo accento britannico una frase che si è scritta in italiano “Non fatevi fottere”. Ci dice anche che è la seconda volta che sono a Milano ed è una serata speciale perché è il compleanno di Fay e il pubblico accenna un Happy Birthday stonatissimo e vedi la batterista, fino ad allora indomabile, inaspettatamente imbarazzata che si copre il volto. La musica riprende e si crea un’intesa speciale con il pubblico. E’ rock, puro calore che si fonde in un tutt’uno di corpi accaldati che pogano al suono di un ritmo incalzante che rallenta di nuovo per poi ripartire come un tuono e trascinarti senza che tu possa più fermarti. E c’è stato tutto: il punk, l’adrenalina, la chitarra graffiante di Gemma, Ayse stilosissima al basso con i suoi suoni ipnotici e ossessivi, il sudore, i salti, il ritmo velocissimo del sesso spinto di Hit me, il caldo soffocante, l’eleganza di When in love, T.I.W.Y.G in cui Fay da il meglio di sé, la più distensiva Shut up, l’amore che è la risposta in The answer, le teste che non riescono a fermarsi al ritmo di Evil.
La musica imponente ti arriva come un pugno in piena faccia e subito dopo ti sfiora come una carezza, la senti tutta la forza e la sensibilità delle quattro ragazze che ti stanno gridando di non cedere, perché a volte è necessario subire il dolore per poter poi apprezzare il bene. E ci cantano l’amore che non è quello gentile, ma una cosa oscura e potente che ti fa stare bene, ma può anche rivelarsi un’esperienza dolorosa che però vale la pena di vivere fino all’ultimo. L’apoteosi viene raggiunta con l’esecuzione di Adore. Una ballata con pause ad effetto, quelle che ti fanno venire i brividi e la pelle d’oca sulle braccia. E poi arrivano le ultime parole di Jehnny “It’s the last song” e i no delusi del pubblico a cui lei regala un timido sorriso “ It’a a long song.” E’ Fuckers ed è di nuovo’ delirio. Ci si scatena fino alle ultime note. Quando lo show finisce e si spengono le luci ci si guarda intorno, senti ancora la musica in testa, sei sudato, ancora su di giri, un po’ disorientato e ti vedi circondato da altre facce esaltate, felici come la tua. E pensi che è vero, la musica ci salverà tutti. Esco soddisfatta. E’ quasi mezzanotte. Torno a casa con il vento sulla faccia e un sorriso a trentasei denti perché sì, “Maybe I will die maybe tomorrow so I need to say I adore life.”. Fuck.
Savages @ Magazzini Generali
“Maybe I will die maybe tomorrow so I need to say I adore life”. Fuck!