“Confusion in her eyes that said it all.
She’s lost control
And she’s clinging to the nearest passerby,
She’s lost control”
Perdere il controllo. La gola si stringe e il respiro diventa ansimante, ti senti soffocare come se qualcuno stringesse sempre più il cappio “trasparente” attorno al tuo collo; le palpitazioni nevroticamente scandiscono il ritmo di quello che sta per succedere. Crollano i meccanismi di controllo fisico e mentale. I colori perdono d’intensità, poi il buio. Ciò che irrompe nella mente non può essere previsto; chi sta male non vede i colori, non percepisce le sfumature, vede solo o bianco o nero.
In bianco e nero era anche la vita di Ian Curtis, voce apparentemente fredda e piena di rabbia dei Joy Division. Un’anima persa nel suo malessere insanabile; poeta sensibile e romantico, una figura esile con un volto di cera e i capelli appiccicati alla fronte dal sudore, una camicia larga che lo faceva sembrare ancora più magro e sofferente: cantava in penombra aggrappato al microfono, cantava piano come se avesse il timore di prendere coscienza della sua malattia. Qualche volta si muoveva a scatti con una danza frenetica che sembrava quasi un attacco epilettico, infatti, qualche volta si trattava di un attacco epilettico e finiva per cadere sul palco.
La lucida coerenza che avvolgeva i suoi testi era agghiacciante. Il male di vivere era trasformato in musica, il minimalismo e l’ossessività del sound dei Joy Divison facevano da sfondo ad una emotività lacerante e una violenza interiore messe nero su bianco da Ian Curtis. Già, perché Ian Curtis soffriva di epilessia fotosensibile e ciò lo rendeva particolarmente esposto agli stimoli visivi, per cui cercava di evitarli vivendo il più possibile in penombra.
“She’s lost control” racconta la storia di un’amica di Curtis, anch’essa sofferente di epilessia, che ebbe un violento attacco davanti ai suoi occhi; successivamente la ragazza morì in una clinica di Manchester a causa delle continue crisi. Un animo così sensibile non poteva rimanere impassibile davanti a quel mostro che, come uno specchio, gli stava sputando in faccia la realtà.
La canzone descrive fedelmente quel che accadde in quella occasione: nella prima strofa la ragazza avverte i primi sintomi e istintivamente si aggrappa a Ian (And she’s clinging to the nearest passer by / And she turned around and took me by the hand), l’attacco epilettico esplode in tutta la sua furia senza lasciarle scampo. La malattia è descritta come una voce che dice al corpo cosa fare (And a voice that told her when and where to act) e anche se la ragazza sembra conscia di ciò che accade non riesce ad annullare a quella voce (I’ve lost control again).
Nell’ultima strofa Curtis cambia volutamente le carte in tavola, la ragazza sopravvive pur rimanendo schiava della sua malattia e sembra andare avanti con serenità fino al prossimo inevitabile attacco (But she expresses herself in many different ways / Until she lost control again).
Il 18 Maggio 1980 è una domenica mattina, la casa di Curtis è silenziosa si sente solo un disco di Iggy Pop girare su un piatto, mentre il disco suonava si è tragicamente suicidato. Aveva 23 anni. L’epilessia aveva cominciato a degenerare e i farmaci da assumere crescevano sempre più, era una schiavitù a cui non voleva più sottostare. Il poeta russo Esenin scriveva: “Tutte le anime maldestre sono note per la loro infelicità”, Ian Curtis non ha retto alla violenza emotiva che la vita gravava sul suo animo malinconico.