Viviamo in un tempo in cui il conformismo sembra la via più comoda. È più facile accodarsi a narrazioni rassicuranti, accettare slogan confezionati, che fermarsi a chiedere: “è davvero così?”.
Eppure senza ricerca, senza dubbi, senza l’ostinazione di chi vuole guardare dietro le quinte, la nostra vita civile perde significato.
È la ricerca, nel senso più profondo, a darci la misura della nostra libertà. Cercare vuol dire indagare, non accontentarsi, pretendere trasparenza. Significa non smettere mai di interrogarsi, soprattutto quando il coro sembra unanime e chi osa alzare la mano è accusato di essere “contro”. È in quei momenti che la ricerca diventa resistenza.
Prendiamo la questione energetica, oggi presentata come una marcia trionfale verso un futuro verde.
In realtà, dietro l’entusiasmo per le rinnovabili si nascondono contraddizioni gigantesche: miliardi di euro di risorse pubbliche spesi in impianti che incidono appena sul bilancio dei gas serra; territori sacrificati con leggerezza, paesaggi millenari compromessi da torri alte duecento metri; comunità locali spesso ignorate nelle decisioni che cambiano per sempre il loro orizzonte.
È davvero progresso, questo? O è piuttosto un nuovo business travestito da salvezza climatica?
La ricerca non ci offre risposte comode, ma ci obbliga a vedere quello che non si vuole dire. Ci costringe a distinguere tra necessità e propaganda, tra soluzioni e scorciatoie. Ci ricorda che la transizione ecologica non può essere una colonizzazione del territorio, ma deve nascere dal rispetto dei luoghi, della biodiversità, delle persone che quei luoghi li abitano.
Ricercare significa non arrendersi all’evidenza apparente, e non c’è compito più urgente del coltivare questo spirito critico.
Perché senza ricerca – senza la volontà di chiedere e di capire – rischiamo di vivere non una transizione, ma un inganno.
Quando la ricerca svela l’inganno
È in quei momenti che la ricerca diventa resistenza

