Ci sono artisti che dipingono la realtà e altri che la reinventano attraverso la propria visione interiore. Priscilla Lotti appartiene alla seconda categoria: le sue opere non sono semplici rappresentazioni, ma racconti visivi che attraversano il colore, la materia e l’intuizione. Con uno stile che oscilla tra figurazione e astrazione, Lotti costruisce un dialogo profondo con l’osservatore, invitandolo a interrogarsi sulla percezione e sulle emozioni che l’arte può suscitare. In questa intervista, ci racconta il suo percorso, le ispirazioni che guidano il suo lavoro e il significato che attribuisce al gesto pittorico.
Priscilla, sei una donna dai mille volti: pittrice, attrice, speaker radiofonica e madre. Come si intrecciano queste dimensioni nella tua vita artistica?
Beh, siamo tutti tante cose, la vita è una continua sperimentazione; ora non faccio più la speaker radiofonica, ma è stata un’esperienza molto formativa; se capita leggo in pubblico, faccio reading e lo scorso anno son stata la voce narrante alla mostra di Nino Campeggi; è una cosa che mi piace fare perché la voce è uno strumento potente; la maternità mi ha reso una persona migliore, la responsabilità di crescere i miei figli da sola è stata ed è un’esperienza totalizzante, essere genitori è un compito enorme, che dà i suoi frutti. Nell’espressione artistica non si può mentire: il prodotto delle mie esperienze si manifesta sicuramente sulle tele.
Sei nipote della pittrice futurista Stefania Lotti, quanto ha influito la tua eredità familiare sul tuo approccio all’arte?
L’esistenza di noi tutti è condizionata dall’ambiente in cui nasciamo. Le case in cui sono cresciuta son sempre state piene di dipinti di mia zia Stefania e del suo compagno d’arte, Enzo Benedetto, che hanno condiviso per 40 anni esperienze artistiche. Erano due personaggi veramente speciali. La bambina scalpitante che ero ha sempre considerato il colore come qualcosa di affascinante e allo stesso tempo abituale. A quei tempi di certo non avevo l’attitudine a star ferma davanti a una tela; mi sognavo da anziana a dipingere, all’epoca la mia creatività aveva urgenze più “fisiche”. (Non che io mi senta anziana, ben inteso, ma il momento giusto è arrivato come un’urgenza
interiore e quasi in trance in una notte del 2014: avevo 45 anni e tre figli di 18, 9 e 4 anni)
Il tuo percorso include esperienze nel teatro, nella radio e nelle pratiche olistiche. Come queste discipline hanno arricchito la tua pittura?
La mia creatività in origine ha avuto bisogno di esprimersi attraverso il corpo quindi ho iniziato a fare teatro. Entrare nei personaggi mi dava la possibilità di essere altro da me arricchendomi; con la radio e la sua magia invece mi piaceva pensare che la mia voce tra un brano e l’altro (Solo grandi successi, su M100!) potesse essere un contributo per gli ascoltatori ad iniziare la giornata in modo migliore (conducevo nella fascia oraria 6-10 del mattino, l’adoravo!). Con la voce puoi dire tanto.
Ad un certo punto ho sentito forte la necessità di darmi una disciplina, così ho iniziato ad esplorare le pratiche meditative, lo yoga, la meditazione zen, lo studio del colore come frequenza e, in quanto tale, capace di condizionare le nostre percezioni interne.
Nei tuoi quadri il colore diventa protagonista e le figure sono senza volto. Puoi raccontarci come nasce un tuo dipinto e cosa significa per te “lasciar parlare il colore”?
Credo che nella vita occorra fare silenzio giacché è solo nel silenzio che possiamo avvicinarci al nostro vero sentire, al nostro, mi piace chiamarlo così ‘potere misterioso’ cercando di smorzare le nostre ciarle interiori. Negli incontri di valore si accendono idee, poi nel silenzio il colore emerge, con esso l’emozione. Mi piace pensare che le mie figure senza volto abbiano tanto da dire ed ognuno può connotarle a suo modo.
Usi rimedi vibrazionali per miscelare i colori, rendendo le tue opere “curative”. Puoi spiegare meglio questo concetto?
Una disciplina olistica che mi ha portato verso lo studio del colore è stata l’Aura Soma, che consiste nell’uso di miscele di erbe, cristalli, oli essenziali. A distanza di 20 anni sono molto più scettica rispetto a prima riguardo questo tipo di pratiche un po’ ‘newagiane’e al conseguente business spirituale che abbiamo attraversato negli anni 2000, ma mi piace pensare che la mia creatività possa essere supportata a livello invisibile dalle miscele che preparo con i colori acrilici e dall’intenzione di curare in qualche modo con la mia arte: travestendomi da novella alchimista l’arte cura me, per prima.
Il tuo stile è descritto come emozionale, intenso e spirituale. Quanto è importante per te il rapporto tra arte e spiritualità?
Io posso creare solo nella solitudine e nel silenzio, in un’epoca in cui siamo incessantemente stimolati a interagire, condividere, riempire vuoti è spaventosamente difficile contattare se stessi e gli altri. Ecco, cerco di contattarmi, ci provo, e di tradurre le mie astrattezze dandogli forma e colore.
I sentimenti e i rapporti umani sembrano essere un filo conduttore nel tuo lavoro. C’è un tema ricorrente che senti particolarmente vicino?
Siamo per natura esseri sociali, abbiamo bisogno degli altri per sperimentarci, per crescere e per dare alla nostra Coscienza il ruolo fondamentale per timonare le nostre vite dandogli Valore. Le relazioni possono dirci tanto degli altri, ma soprattutto di noi.
Di sicuro la violenza di genere, l’emancipazione sessuale dai condizionamenti in cui la mia generazione è cresciuta, l’importanza della vagina come archetipo e strumento per contattare la nostra femminilità più pura, potente e distintiva, come organo da cui generiamo figli e piacere,
strumento di offesa per maschi non evoluti, strumento di piacere e condivisione con anime capaci. Diciamo che probabilmente son questi i temi cardine della mia ricerca artistica. Bum!
Hai esposto le tue opere in diverse collettive, anche internazionali. C’è un’esposizione o un momento particolare che ricordi con maggiore emozione?
Ricordo con emozione e tenerezza la mia prima collettiva, nel 2015, quando ho aderito al progetto “L’Opera, la Pittura Musicale” promosso dal Centro Internazionale Antinoo, che ha sostenuto l’Opera Lirica Italiana come Patrimonio Immateriale per l’Umanità. Riconoscimento arrivato dall’UNESCO nel 2024 e celebrato con una mostra collettiva conclusasi ad ottobre scorso dopo la
tournèe (ho partecipato con la mia opera “Salto Nel Fuoco Ma Non Mi Brucio Più” ispirata alla Cavalleria Rusticana di Mascagni) che ha girato durante l’estate del 2024 in collaborazione con l’Ambasciata Italiana e il patrocinio del Ministero di Cultura di Bulgaria i maggiori poli culturali del paese, come la Galleria d’Arte Municipale Boris Georgiev e il Teatro dell’Opera di Varna.
Ogni volta che si espone è sempre una grande emozione, occorre superare certi pudori interni, insomma per me è sempre una grande prova; con le collettive ti senti parte di un progetto, è una cosa che mi piace.
Hai un sogno o un obiettivo legato alla tua carriera artistica che vorresti ancora realizzare?
Tuttavia mi piace anche l’idea di superare certe mie resistenze interne: ho in progetto una personale. Ci sto lavorando, senza fretta. I grandi temi sono le rotondità, l’accoglienza, il fluire e il sognare.
Credi che “tutto sia già dentro di noi, occorre solo liberarlo”. Come questa filosofia influenza il tuo approccio alla vita e all’arte?
Potenzialmente sappiamo cosa siamo e cosa vogliamo. Abbiamo la nostra voce interna, qualcuno la chiama “Io Grande”, peccato che spesso rimanga inascoltata per il troppo rumore di sottofondo condito da paure e stati d’animo, insomma dentro di noi pare ci sia un posto bello, credo valga la pena liberarlo.
Se dovessi definire il tuo stile artistico in una frase, quale sceglieresti?
“Arte impavida, colore in movimento” E’ un mio mantra, mi incoraggia.
In un mondo sempre più frenetico e digitale, quale ruolo pensi debba avere l’arte oggi?
L’Arte è libertà, e la libertà non conosce fretta. Il mondo digitale può essere un potente motore per arrivare a più persone e rendere l’Arte accessibile a tutti. Ma è nel silenzio e nella presenza che il colore attraverso il mio sentire e un complice pennello, tinga il mio messaggio e parli a quella parte di te umana un po’ come la mia, come quella di tutti.
Foto di copertina di Federica Bonifacio