Praticare gratitudine. Non è un’attitudine, è un abitudine. Imparare a riconoscere la bellezza, prestare attenzione alle sfumature, dare il giusto peso, controbilanciare gli inevitabili dolori con le altrettante inevitabili gioie. Praticare gentilezza. Rivolgere verso sé e verso gli altri uno sguardo di indulgenza e tenerezza. Tutto ciò non è “avere pensieri”, tutto ciò è “essere pensieri”.
E’ una questione di sangue e carne, reazioni chimiche e trasformazioni. Quello che pensiamo infatti modella la mente, modifica morfologicamente e profondamente il nostro cervello.
Quando scegliamo di praticare gratitudine, il cervello risponde rilasciando sostanze chimiche come dopamina e serotonina, che aumentano il senso di benessere e rafforzano i circuiti neurali legati alla gratificazione. Ogni volta che ci concentriamo su un’esperienza positiva o esprimiamo gratitudine, queste connessioni diventano più robuste.
Ci si può educare, ma soprattutto si può educare alla pratica della gratitudine. E come con tutti gli esercizi, più ci si applica e più si diventa bravi.
L’abitudine, la ripetizione di una pratica, traccia un sentiero all’interno del nostro cervello che rende poi più agevole muoversi verso una direzione. In pratica, quando una persona si concentra sulle cose per cui è grata, il cervello rinforza questi percorsi, diventando più incline a riconoscere le situazioni positive.
Non resta che iniziare ad esercitarsi. Buona pratica di gratitudine a tutti.
Praticare gratitudine
Quando scegliamo di praticare gratitudine, il cervello risponde rilasciando sostanze chimiche come dopamina e serotonina, che aumentano il senso di benessere e rafforzano i circuiti neurali legati alla gratificazione.