Beatles, Haruki Murakami, Trần Anh Hùng, con Norwegian wood – ノルウェイの森, Noruwei no mori – hanno dato vita ognuno con la propria arte all’esaltazione della nostalgia in tutte le sue forme senza categorizzarla come qualcosa di negativo intriso nell’animo umano.
È noto con il nome inglese di mood, ovvero lo stato d’animo, la vena, l’umore e perché no il tormento di quel momento particolare, in questo caso caratterizzato anche dal “legno norvegese o bosco” come indica il kanji giapponese (森), che ci ha concesso una ben determinata emozione.
Il raccontare qualcosa di così intimo, rende colui che interagisce con questo tema, parte di quel ricordo e non semplice spettatore.
Risulta tremendamente facile immedesimarsi nella canzone dei quattro di Liverpool o nelle opere del sensei Murakami oppure del regista vietnamita, eppure nonostante la semplice maestosità delle tre opere che dovrebbero soltanto estasiare, al contrario dopo un sublime impeto sentimentale, lasciano quell’amaro in bocca che paradossalmente rende il tutto ancora più speciale proprio perché è ciò che può capitare a chiunque.
“Once I had a girl, or should I say she once had me.
Una volta avevo una ragazza ma piuttosto potrei dire che era lei ad avere me”.
Una cooperazione Lennon/McCartney, eppure entrambi si prendono il merito totale del brano, anche se come detto da quelli di Radio Capital; l’unica cosa certa sembra essere che la composizione è una delle poche della band a essere suonata in 6/8, influenzata dallo stile di Bob Dylan che, come narra una leggenda molto diffusa, scrisse in risposta e in 3/4 “4th Time Around” come stizzita parodia di Norwegian Wood, ma questa è un’altra storia.
Insomma la canzone, estratta dall’album Rubber Soul del 1965, parla di un ragazzo che ha dormito con una ragazza nel suo appartamento, la ragazza lo ha lasciato al mattino, così lui ha dato fuoco al suo appartamento.
Malizia di Lennon?
Dormì davvero nel bagno?
Quindi una relazione terminata ancor prima di iniziare, la donna che ha catturato la sua attenzione, che lo ha rapito e lo ha accolto nel suo appartamento, alla fine poi “This Bird Has Flown” …Dunque sembra essere una sorta di confessione della relazione extraconiugale in cui John Lennon era nostalgicamente coinvolto, sembra essere chiaro, anche se Lennon non rivelò mai con chi ebbe la relazione, forse con l’amica intima e giornalista, Maureen Cleave o Sonny Freeman, ma come la storia dei Beatles ci insegna, è sempre molto difficile conoscere la verità in merito i loro “business”.
Una delle cose certe, anzi certissime ed importante è che quella fu la prima volta che George Harrison ha suonato il sitar su un brano dei Beatles. Con questa parte di sitar, è diventato il primo musicista occidentale a suonare uno strumento indiano su una registrazione commerciale.
In seguito e precisamente il 21 dicembre 1986 in una villa di Mykonos, Haruki Murakami iniziò a scrivere il romanzo Norwegian Wood, pubblicato anche col titolo Tokyo Blues. Considerato il romanzo più intimo ed introspettivo dello scrittore giapponese e un successo planetario. Da sempre fan dei Beatles il maestro sembra ispirarsi alla canzone stessa o più semplicemente potrebbe essere un omaggio dovuto ad una delle sue più grandi passioni.
C’è inoltre chi sostiene che potrebbe essere una scelta casuale, soprattutto considerando che all’interno del romanzo ci sono altre canzoni ad accompagnare le vicende del protagonista e degli altri personaggi.
Il romanzo è un lungo flashback, narrato in prima persona dal protagonista Watanabe Tōru. Su un aereo atterrato ad Amburgo, al suono di Norwegian Wood, Watanabe ricorda con precisione un fatto avvenuto diciotto anni prima e che ha segnato la sua giovinezza: l’incontro con Naoko, la fidanzata di Kizuki, il suo unico amico, morto suicida pochi mesi prima. Sia Tōru che Naoko sono intrappolati in un sentimento che li blocca e affligge. Tōru, non riesce mai ad avvicinarsi del tutto a Naoko e quindi ancora una volta “This Bird Has Flown”.
Malinconia per qualcosa che avrebbe potuto essere ma che non è stato.
Lennon, brucia l’appartamento, Tōru è costretto a guardare avanti poiché non ha scelte, attendendo la morte, vivendo fino a quando essa non si presenta.
L’opera è stracolma di atmosfere oniriche, suggestioni che non possono essere sopite, contrasti interiori che ognuno di noi prima o poi vive durante il proprio cammino, ma che affronta giustamente in maniera diversa.
Murakami risveglia il dubbio delle scelte della vita, cos’è giusto e cos’è sbagliato, non è dato saperlo a priori, bisogna soltanto accettarne le conseguenze, poiché noi soli siamo i fautori delle nostre scelte.
La nostalgia c’è tutta, ma non è celata poiché è parte di noi e cammina con noi ed è impossibile tenerla nascosta.
Murakami definisce Noruwei no mori un romanzo d’amore “molto personale” e lo dedica ai suoi amici “che sono morti e a quelli che restano”.
Ad Atene scrisse in una taverna terribilmente rumorosa ascoltando sul walkman Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band per circa duecento volte. Dopo un breve soggiorno in Sicilia, il sensei terminò di scrivere la sua opera il 27 marzo 1987 in un appartamento alla periferia di Roma e precisamente nel quartiere Prenestino, io avevo nove anni, ma questo non frega a nessuno…
Da ricordare è la splendida cover della canzone suonata magistralmente da “The Aaron English Band”.
Per quanto riguarda il film di Trần Anh Hùng, il soggetto è basato sul romanzo omonimo di Haruki Murakami. Il film ha ottenuto una candidatura a Asian Film Awards, al Box Office Usa Norwegian Wood ha incassato 13 mila dollari.
Elegante ed audace allo stesso momento, nonché coraggiosa trasposizione del regista. Tokyo blues presenta una gradevole fotografia ed una scelta musicale peculiare. Come accade per tutti i film tratti da opere letterarie però, non bisogna pensare a fare paragoni, bisogna
solo goderne la visione e dunque vi invito a farlo.
And when I awoke, I was alone / This bird had flown
Norwegian Wood: one song, one book, one movie, three masterpieces
Note, parole e scene che fanno riemergere qualcosa di prezioso e surreale nascosto nella memoria di ognuno di noi