Carissimo Avvoltoio…Ops….Carissimo Nicola finalmente riesco a prenderti per qualche chiacchera, e per conoscerti meglio. Dal 2010 fai parte degli Gli Avvoltoi, storica band italiana nata nel 1985 da Moreno Spirogi e Claudio Spirogi. Questo incontro nasce perché anche tu facevi parte di quella corrente italiana/bolognese?
Il primissimo ricordo degli Avvoltoi è da spettatore e consumatore di musica dal vivo. Loro allora rappresentavano un rarissimo punto di originalità nella ricerca musicale combinata con un’attitudine punk che rendeva i concerti speciali. L’incontro, quindi, nasce dal contesto generale di Bologna. Con Moreno l’amicizia si è consolidata tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000, anni in cui mi sono occupato di produzioni discografiche ed eventi dal vivo che hanno coinvolto anche il buon Spirogi, poi abbiamo iniziato a suonare assieme creando un legame che definire amicizia è riduttivo.
Come si stava negli anni ’80 nella scena bolognese e cosa succedeva in quei momenti di grande creatività?
In quegli anni tutti gli ambiti musicali erano particolarmente attivi e la musica underground invadeva gli spazi sociali in tutti i modi possibili. I punti di contatto con gli Avvoltoi e quella corrente erano molteplici e facevano parte di un reticolo di relazioni complesse nelle quali, in fin dei conti, conoscevi tutti. C’erano i centri musicali, i club, i negozi di dischi e una miriade di pub e bar dove non mancava mai una session notturna. Si aveva una percezione materiale della musica (legata non solo ai supporti di allora) talmente forte da creare un senso di appartenenza che oltrepassava il solo gusto musicale e diventava stile di vita come nelle scelte dell’abbigliamento o del taglio di capelli.
Sei compositore e arrangiatore per il cinema, teatro, televisione e radio. Oltre ad essere uno sperimentatore sei un divulgatore di contaminazioni con progetti legati all’architettura. Ci spieghi cosa significa?
Il primo amore, da bambino, è stata la musica a programma che mi affascinava per le potenzialità descrittive del linguaggio musicale. Poi, da adolescente, c’è stata la scoperta delle colonne sonore: mi entusiasmavo a imparare spartiti di Trovajoli, Ortolani, Godi, Umiliani, ecc. sull’organo Bontempi che mi regalò mio nonno. Già da allora mi sembrava naturale concepire la musica al servizio di qualcosa senza sminuirla al ruolo di mera didascalia. Sul finire degli anni ’80 ho iniziato a scrivere ed eseguire musica per i reading di poesia e, successivamente, per il teatro: qui è nata la convinzione che l’unione di due espressioni crei un terzo linguaggio e, forse, questo è il senso di “scrivere musica per”.
Oltre a svolgere con devozione il tuo lavoro, sei un componente e co-autore degli Avvoltoi. Il primo disco Il nostro è solo un mondo beat è qualcosa di spumeggiante e di radioso almeno per quel periodo… Dal vivo, tempo fa, vi ho trovati più “sul pezzo” e la tua mano di sperimentatore si sente…Cosa è cambiato?
Gli Avvoltoi sono una band in tutti i sensi quindi anche la composizione e l’arrangiamento diventano spesso esercizi collettivi: cambia la band e cambia la musica. Poi lo stile degli Avvoltoi è sempre cambiato nel tempo e basta ascoltare Quando verrà il giorno, secondo LP del 1990 (il mio preferito dei primi tempi), per cogliere tanti altri riferimenti musicali rispetto al primo album. Per quello che riguarda gli ultimi dischi e il sound attuale ti posso dire che condivido con Moreno tanti ascolti e quelli che ci appassionano di più in termini di suono e stile stanno tra la fine dei ’60 e i primi ’70; oltre a questo aspetto con lui ho sempre trovato una grande naturalezza nella scrittura che abbiamo sperimentato a fondo in Confessioni di un povero imbecille dove, oltre ad avere il contributo creativo di tanti artisti, ci siamo trovati a fare molto lavoro di scrittura e arrangiamento a due mani.
La biografia “Storia di un gruppo ridicolo” ripercorre la vita del gruppo che vuole partire dalle radici del Beat. In questo mondo confuso trovo che il Beat debba aiutare tutti noi a guardare il futuro sotto un’altra luce. Concordi?
Storia di un gruppo ridicolo è il primo lavoro biografico sugli Avvoltoi e già dal titolo è caratterizzato dall’autoironia e il non volersi mai prendere troppo sul serio che ci portiamo appresso come lezione di grandi maestri (primi fra tutti gli Skiantos).
Penso che qualsiasi genere musicale possa essere di ispirazione pensando al futuro se significa rispondere a un’attitudine, a un richiamo o a un’appartenenza con tutte le proprie forze.
Dagli anni 2000 componi e arrangi tante cose principalmente per cinema e televisione. Il tuo stile credo si differenzi dal fatto che esci dalla massa, che cerchi cose diverse e rivolte ad un pubblico attento e maturo.
Ho sempre orientato i miei sforzi di ricerca al suono. Ho praticato tanti generi dalla musica concreta al rock cercando di concentrarmi principalmente sul “cosa” piuttosto che sul “come”. Un altro esercizio che a mio parere paga sempre in termini di risultato è lavorare per sottrazione, ovvero chiedersi sempre cosa cambia se si toglie qualcosa. In definitiva i pochi lavori dei quali sono pienamente soddisfatto (eh sì, sono uno di quelli mai contenti…) sono quelli che mi suonano bene e non hanno bisogno di nulla in più.
Tutti i lavori che produci si possono vedere e ascoltare dal vivo?
No, la maggior parte della mia produzione è dispersa tra streaming, dvd, vhs e memorie di spettacoli o performances mai registrate.
La parte che resta ascoltabile dal vivo fa parte dell’esperienza nella musica leggere, attualmente assorbita al 99,9% dagli Avvoltoi.
Che tipo di progetti ci sono nel prossimo futuro sia per gli Avvoltoi che per te?
In questi giorni è uscita la ristampa del primo LP (Il nostro è solo un mondo beat) mentre in studio stiamo lavorando a una cover e a un nuovo LP di inediti che uscirà in occasione dei festeggiamenti per i 40 anni della band.
Caro Nicola siamo alla fine delle nostre chiacchere. Mi piacerebbe rendere partecipe il pubblico di Sound36 invitandolo ad ascoltare la spensieratezza del genere Beat ma soprattutto ascoltare e vedere la musica in una maniera diversa. Esiste una formula? Un abbraccio da tutta la redazione di Sound36.
“Spensieratezza” è un termine che non amo particolarmente perché ha il sapore della irresponsabilità.
Sono convinto che, al di là di qualsiasi livello di partecipazione civile, serva sempre saper conservare un certo grado di leggerezza nello sguardo come buon antidoto per diluire l’orrenda tempera dei peggiori sentimenti umani come la collera, il rancore e l’odio.
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Intervista e foto: Alessandro Ettore Corona