Recensioni

Nick Cave And The Bad Seeds – Ghosteen

Scritto da Caterina Lucia

Ghosteen è una navigazione inconscia dentro un lutto, dentro una speranza che forse non sarà mai raggiungibile.

Forse Nick Cave non l’avrebbe mai annunciato così il nuovo album. O forse non aspettava altro. E’ il 23 settembre quando, con una strana frenesia, rispose ad una domanda di un fan sul suo blog rivelando la data di uscita del suo nuovo lavoro, il titolo, la tracklist, la cover art e oltre a ciò, una breve descrizione che sarebbe comparsa giorni dopo anche su YouTube in occasione della premiere : “Ghosteen è un doppio album. La prima parte comprende 8 canzoni, la seconda parte contiene due canzoni più lunghe, collegate tra loro da un pezzo parlato. Le canzoni sul primo album sono i bambini. Le canzoni del secondo album sono i loro genitori. Ghosteen è uno spirito migrante.” Nella vita spesso si vivono vari momenti di impotenza, che inducono stati di sofferenza e disagio e il dolore che si prova di fronte alla perdita di una persona cara, è un’esperienza forte, viscerale e destabilizzante. L’assenza fisica crea una intensa sensazione di mancanza e una acuta sofferenza sia psicologica che fisica, accompagnata dal disperato desiderio di non andare più avanti, di non vivere più senza colui/colei che era così importante da rappresentare non solo un affetto, ma anche un punto di riferimento e di appoggio. Si tratta di un dolore che per essere superato va vissuto e non sotterrato. Perché se rimane dentro come qualcosa che non merita attenzione, mangia e pian piano logora l’interiorità. Ciò che trasuda da ogni parola cantata da Cave è puro dolore ed è impossibile non pensare alla morte del figlio appena 15enne Arthur, caduto da una scogliera a Brighton probabilmente sotto l’effetto dell’LSD. Ma non è così semplice arrivare alla genesi di quest’album: non è Eric Clapton che canta Tears in Heaven, non è qualcuno che cerca di superare un lutto. E’ più una navigazione inconscia dentro il lutto, dentro una speranza che forse non sarà mai raggiungibile, e d’altra parte Nick Cave ha sempre abituato il suo pubblico a quella parte scura dell’anima, a quella dolcezza nera che può essere spesso espressa solo con una lacrima silenziosa, forse mai raccontata, ma che accomuna molte persone che hanno fatto della sensibilità una ragione di vita, senza vergogna, senza nascondersi. E non si nasconde Nick Cave, soprattutto mentre canta “He has gone to the moon on a boat” nella title track, o “There’s a picture of Jesus lying in his mother’s arms” in Night Raid, immagine ricorrente anche in Fireflies. O ancora “Everybody is always losing somebody” in Hollywood. In effetti non si è mai nascosto. Nemmeno quando i Bad Seeds erano molto più irriverenti e rumorosi e ancora Nick non aveva scelto il pianoforte come compagno di strada preferito e un songwriting più maturo e introverso. La produzione è affidata allo stesso Nick Cave e a Warren Ellis e la mano di Ellis si sente a tonnellate nelle tastiere e nei mood che fanno rimanere l’album in un limbo che sembra  non si innalzarsi mai, non incazzarsi mai. Eppure riesce a penetrare l’anima e a violentarla. L’album intero arriva come una lucida autoanalisi dove immagini e concetti si fondono, si disgregano, si ricongiungono. Forse è questo il modo migliore per affrontare una perdita: parlarne. E migliaia di fan in tutto il mondo hanno risposto con amore al primo ascolto dell’album, perché la verità e la dignità – che in questo lavoro sono presenti, eccome- arrivano. Anche in un mondo fatto di plastica e di selfies, Nick Cave c’è. E non si può che augurargli quello che lui canta alla fine di Hollywood: “And I’m just waiting now, for peace to come”.

 

Grazie di cuore a J.Red che, in un momento di “follia della penna”, ha deciso di condividere questa bellissima analisi con me.

About the author

Caterina Lucia

Ribelle, testarda e con un animo fortemente punk. Sempre alla ricerca della bellezza, sono amante della musica, dell’arte, della poesia e del caos. Guardo oltre le apparenze, mi riconosco nei particolari impercettibili. La scrittura è una necessità per dissestare i miei pensieri.

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