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Mimma

Scritto da Gina

Quelle mani da lavandaia grosse e nodose, capaci di comporre delicate meraviglie e di carezze così gentili e profonde da scaldare il cuore anche più arrabbiato

A Mimma piaceva molto camminare da sola, cadenzare i pensieri con i passi. Quella mattina aveva preso una strada alternativa e camminava lungo le vie del vecchio centro storico, ormai abbandonato. Granito e argilla, legno e ferro arrugginito, davano un senso all’autunno che si stava approssimando. 
Un tempo quella strada aveva accolto la gioia di sua madre nel giorno delle nozze. Si fermò e la immaginò, uscire dal vecchio portone adornato di edere e gerani in fiore. I cocci rotti, il riso e la vernaccia. La felicità vestita di una eleganza semplice e umile: un paio di scarpe nuove, un vestito confezionato su misura e un capellino, prestato dalla madrina “continentale”. 
Cinquant’ anni dopo, e cento metri più avanti, Mimma camminava lungo la strada, proprio davanti alla casa in cui era nata, e pensava a come sarebbe stata la sua vita se suo padre fosse rimasto, cosa ne sarebbe stato delle sue sorelle in quel piccolo angolo di strada se non avessero dovuto andar via. 
Ormai era un anno che era tornata ma per passare da quella viuzza ci aveva messo del tempo. Si ricordava di sua nonna, seduta sotto il sole a ricamare le lenzuola del corredo per le sue donne, oppure a intessere ceste di asfodelo. Quelle mani da lavandaia grosse e nodose, capaci di comporre delicate meraviglie e di carezze così gentili e profonde da scaldare il cuore anche più arrabbiato. 
Si ricordava di tutte le altre donne che abitavano lungo la via, curve e indaffarate a sgranare il rosario, se non i fagioli, spaccare noci o noccioline, montare le chiare per i biscotti, legare le fascine o trascinare brocche, scegliere castagne…e tutte, nessuna esclusa, avevano un marito che si chiamava “quello” o “quell’altro”. Mimma non conosceva i nomi di questi fantomatici mariti. Quando rientravano a casa, al tramonto, ognuna delle loro mogli era già ritirata da un pezzo e la strada era vuota e buia. Da quando suo padre era andato via, Mimma apriva il portone, prima di andare a dormire e scrutava il buio…ma lui non tornò più. 

“Quello non era un vero uomo”, così dicevano le donne a sua madre, per consolarla. 

Da una delle casette udì la voce di Zia Angelina. Si affacciò per farle gli auguri, aveva appena compiuto 104 anni.

“E chi sei?” chiese la vecchina.

“Mimma, la figlia di Mariuccia,” rispose.

“E chi è Mariuccia?”

“La figlia di Antioco Serra. ” Rispose pronta Mimma.

“Ah, la moglie di quello che era fuggito via… poveretta, con tutte quelle figlie da sposare! E tu? Ce l’hai un marito?” – Si era messa dritta sulla sdraia per vederla meglio in viso. 

“No io ho una moglie Zia Angelì” – e sorrise di nascosto.

“Tzustizia mala!” – Esclamò… “Eh ma lo dicevamo sempre che non poteva venir fuori niente di buono da quel mezzo uomo!”

Mimma alzò lo sguardo al cielo. Cinquant’anni erano passati. Le nuvole si muovevano veloci, come cinquanta, come cento o duecento anni prima…ma sulla terra, tutto era rimasto lento, forse immobile.

“Vado che viene a piovere, auguri Zia Angelì a centodieci!”

 

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Gina

Sono Gina. Ho 41 anni. Vivo in Sardegna ma abito il mondo, lo interpreto come meglio riesco con un bambino che mi insegna come fare

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