Interviste

Mìcol Mei

Scritto da Red

Noi siamo la somma del nostro passato ma siamo soprattutto il modo in cui guardiamo a quel passato

Mìcol Mei è autrice del Richiamo del dirupo (Miraggi Edizioni)

Nelle prima pagine del suo libro, Il Richiamo del Dirupo mi ha subito colpito la dedica che rivolge a Chiara Fumai. Ha voglia di raccontarci chi è stata per lei quest’artista che ha messo il femminismo al centro della propria arte?
Il libro è dedicato alla memoria di una grande artista che ci ha lasciati troppo presto, Chiara Fumai, avvenierista nella sua creazione e incredibilmente moderna. Ho scoperto subito di avere in comune con lei la passione per la contaminazione di vari generi di media e l’ho trovata immediatamente affine al mio modo di esprimermi. Ho lavorato nel mondo dell’arte contemporanea in qualità di editor e responsabile di tutti i prodotti editoriali e in questa occasione conobbi Chiara. La sua morte divenne un fatto personale, una tragedia che mi ha fatta riflettere sul concetto dell’artista nel mondo contemporaneo, e queste elucubrazioni si sono trasformate in idee e spunti da aggiungere a un testo già esistente.

Il Richiamo del dirupo ha un titolo che in qualche modo lascia presagire quanto il dirupo, la nostra interiorità, sia in costante comunicazione con noi. In quale modo pensa che ciò che si è provato (e soprattutto sofferto) influisca sul presente?
Mi piace citare Jean Paul Sartre quando scrisse “Non ci si mette il proprio passato in tasca; bisogna avere una casa per sistemarlo.” Questo è stato il mio tentativo con la costruzione del Pallido Rifugio. Affrontare ciò che è dietro alle mie spalle con coraggio, incidendo nella carne, entrando forzatamente sotto la superficie. Posso considerarlo un processo quasi al limite del maieutico, una catarsi che brucia. La vita però va in un’altra direzione, in avanti. Portarsi dietro dei sassi nelle tasche non ci serve ma ci danneggia. Noi siamo la somma del nostro passato ma siamo soprattutto il modo in cui guardiamo a quel passato. Siamo noi a scegliere come utilizzarlo e come andare oltre.

Il Pallido rifugio, luogo privilegiato per l’ambientazione del romanzo, è un’abitazione che sorge a picco sull’oceano. Si è ispirata a qualcosa di reale per dar vita a questo luogo? Che cosa ha innescato in lei la scintilla e ha fatto sì che la villa vittoriana diventasse l’ambientazione del Richiamo del dirupo?
Mi sono ispirata alla Cliffhouse di San Francisco, un luogo improbabile e stupendo al tempo stesso che ormai non esiste più. Dopo aver collezionato più immagini e resoconti sul luogo, ho pensato che una casa di questo genere fosse perfetta per accogliere i miei personaggi. Un posto magnifico, decadente, sospeso dalla dimensione del tempo e dello spazio, perfetto contenitore di esperienze e esistenze non proprio comuni.

Osservando l’aspetto strutturale della sua opera, agli amanti del genere sarà subito evidente il sapiente utilizzo della tecnica della mise en abyme. Viene da domandarle, dunque, quanto studio e dedizione siano state fondamentali per riuscire a raccontare la sua storia. Quanto tempo ha impiegato per scrivere l’opera?
Lo studio e la ricerca sono decisamente la parte più interessante del mio processo creativo. Mi piace poter applicare delle strutture narrative che diano una portanza differente alla storia. La tecnica della mise en abyme, storia nella storia, eco di mille voci che cantano la stessa canzone, era quella adatta in questo caso. La mia curiosità è tale da portarmi a voler imparare sempre nuove tecniche e nuovi spunti per elevare ciò che ho già in mente. Il grosso del mio tempo lo ripongo in attenta considerazione e dopo aver acquisito tutti i pezzi del puzzle ci vuole poco a ricomporre l’immagine.

Nel suo romanzo i personaggi principali non sono propriamente definibili come eroi, piuttosto anti-eroi, persone che percepiscono di aver fallito in tutto e che non riescono più a trovare la forza per andare oltre. Le va di raccontarci i più significativi? Chi tra loro è il personaggio secondo lei con meno speranze, e per chi invece ha faticato maggiormente a raccontarne i trascorsi?
Da anti- eroina non posso che tifare per gli anti-eroi, estremamente più interessanti degli eroi tout court. Amo osservare come gli individui abbiano tanti strati, come cipolle, e nessuno sia davvero buono o cattivo ma in potenza entrambe le cose. Non posso fare figli e figliastri e scegliere i personaggi che preferisco perché li ho immaginati tutti io, ma sicuramente colei che arriva al Pallido Rifugio con meno speranza è Mila, perché una madre che ha perso la figlia e si sente schiacciata dai suoi errori vive una condizione assolutamente miserabile. Il personaggio più difficile da raccontare invece è stato indubbiamente Thymian, per il carico emotivo legato, dato che molto di ciò che narra è autobiografico.

A proposito di speranza, è come se Il richiamo del dirupo ne sia stato privato del tutto, come se questo sentimento non fosse qualcosa di buono, ma anzi di profondamente ingiusto per chi, metaforicamente, non ne ha più. Qual è, a tal proposito, la sua filosofia?
La mia riflessione sulla speranza è legata al mio amore spasmodico per Pier Paolo Pasolini e le sue osservazioni in merito alla speranza come alibi, un votarsi alla fortuna o a chi per lei che muova i fili nell’ombra e sistemi le cose al posto nostro. Io non spero, agisco. Se le mie azioni non possono cambiare il risultato lo accetto e procedo. Non mi voto a nessuno che risolva i miei problemi. Sono responsabile e comprendo il meccanismo di causa effetto in atto del nostro piccolo mondo. Non avere speranza non significa essere senza speranze. È propositivo e pro attivo, per nulla catastrofista. Concludendo, concordo con Niel Gaiman quando disse che preferisce le principesse che si salvano da sole.

Leggendo la sua biografia e muovendosi tra i contenuti del suo sito web (micolmei.it) si evince che Il richiamo del dirupo è in corso di traduzione e che sta lavorando al suo prossimo libro. Si tratterà di un romanzo? Può dirci qualcosa in anteprima?
Il prossimo libro sarà un romanzo, un murder mystery storico, ambientato a Torino negli anni ’50. Anni di ricostruzione e ottimismo e soprattutto senso di comunità. Sebbene si tratti di un romanzo di genere continuo a prediligere la narrazione corale.

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