Il MARCA – Museo delle Arti di Catanzaro – si fa culla della metamorfosi.
Il 12 ottobre, tra le pareti del museo, prende vita la prima nazionale di uno spettacolo che suggella una trilogia artistica di respiro e profondità. Dopo il corpo danzante di To My Skin e il respiro lirico di Cleopatra, è la volta di Materiale per Medea, che osa una rilettura potente del mito, nel solco rispettoso delle sue origini letterarie.
Nella penombra quasi assoluta, il corpo si fa parola.
Lì, tra luci rade e silenzi tesi, emerge lentamente la figura di Agata Tomšič – ideatrice, regista e interprete per la compagnia ErosAntEros. La sua Medea magnetizza lo sguardo: maga, amante, madre, presenza carnale che attraversa il desiderio e la colpa. Una sagoma di carne viva che interroga, scuote e costringe al confronto con un femminile primigenio, ruvido, vero.
Il linguaggio di Heiner Müller si fa sostanza sonora e visiva.
Aspro, tagliente, lirico e politico, si riversa sulla scena come magma che incendia e trasforma. È parola che si ascolta ma anche si vede, si immagina, si attraversa. In questa rarefazione sensoriale, il pubblico viene condotto in un altrove, dove l’ascolto si fa immagine e l’immagine domanda risposte al presente.
Medea, mille volti e nessuna pace.
C’è la Medea di Euripide, vendicatrice divina, arma contro l’arroganza maschile. La donna lacerata di Pasolini, che uccide per amore e viene tradita fino all’atroce vendetta. C’è quella isolata e scissa di Corrado Alvaro. E poi la Medea di Müller, che si fa specchio dell’umanità spezzata, intrisa di conflitto e sottomissione.
Tre movimenti per una Medea che sfugge alla gabbia del tempo.
“Riva abbandonata” è lo squarcio finale della guerra, a Strausberg; una terra in rovina da cui tutto riparte. “Materiale per Medea”, cuore dello spettacolo, è un vortice sonoro e verbale, dove la voce si moltiplica – anche in quella artificiale di un alter ego metallico – e intreccia i nomi di Seneca, Euripide, Hans Henny Jahnn. Infine, “Paesaggio con Argonauti”, ispirato a Wasteland e ad Ezra Pound, che preannuncia le sciagure dell’umanità con una lucidità inquietante.
Una Medea fluida, senza confini.
Pronta a esplodere o implodere in ogni tempo e luogo. È figura archetipica che non chiede di essere capita, ma sentita. La sua voce – anzi, le sue voci – rimbombano tra le pareti del MARCA come un’eco dell’oggi.
Visione, suono, materia. Tutto si fonde.
Le luci di Gianni Gamberini disegnano un’alternanza ipnotica tra buio profondo e lampi dorati, richiamo diretto al mito del Vello d’oro. I costumi di Bàste Sartoria diventano simbolo di ciclicità – vita, morte, ambizione. Le musiche di Matevž Kolenc, compositore e produttore nominato ai Premi Ubu 2024, insieme ai suoni rituali degli oggetti scenici, creano una tensione vibrante, una vera esperienza multisensoriale.
Un progetto che unisce rigore e visione.
Alla direzione tecnica e allestimenti di Vincenzo Scorza, si intrecciano le ricerche di Benedetta Bronzini, Anja Quickert e Daniela Sacco. Il tutto sotto l’egida dell’Internationale Heiner Müller Gesellschaft e il patrocinio del Goethe-Institut Mailand.
“Materiale per Medea” è un attraversamento.
Un varco che si apre nel mito e si prolunga nel presente, dove il corpo e la parola non cercano risposte, ma formulano domande. È un gesto scenico che scava, si insinua nelle pieghe della storia, per restituirci una figura femminile che non vuole essere spiegata, ma sentita.
In quella nudità che è atto politico e poetico, Medea non si lascia possedere: ci guarda, ci accusa, forse ci assolve. E mentre si allontana nel buio, resta l’eco della sua voce – voce di tutte, voce di nessuno – che continua a vibrare. Non è finzione. È un richiamo. E ci riguarda.
Per le informazioni e le fotografie si ringrazia:
L’UFFICIO STAMPA DEL FESTIVAL Giuseppe Panella e Claudia Fisciletti e la social media manager Anna Trapasso.






