A volte, la vita di Elena somiglia a un cielo di marzo: imprevedibile, un po’ drammatico, incline a cambiare senza preavviso.
Stamattina, ad esempio, è convinta che il mondo le stia sorridendo. Si sveglia di buon umore, prepara il caffè, apre la finestra e pensa che, forse, qualcosa sta finalmente andando nel verso giusto. Poi però apre la posta.
Eccola lì: una bolletta che pare scritta da Kafka.
Si ritrova così, seduta su una panchina a guardare il cielo, sperando almeno in un segno di solidarietà dalle nuvole.
Ne passa una lunga, lenta, che sembra un cuore. Poi un’altra, a forma di cane. Poi un’altra ancora — potrebbe giurarlo — somiglia a sua madre, con quello sguardo mezzo dolce e mezzo severo che pare dire: “Te l’avevo detto, Elena.”
Lei sospira. “Durano meno delle mie certezze,” pensa. E vorrebbe ridere, ma le esce solo un mezzo sorriso, il tipo di sorriso che sa di resa temporanea.
Un signore anziano, con una busta piena di mandarini e il passo calmo di chi non ha più fretta di arrivare, si siede accanto a lei.
“Guarda anche lei le nuvole?” le chiede, senza preamboli.
“Sì. Mi ricordano che tutto passa,” risponde Elena.
“Macché passa,” ribatte lui e sfodera un sorriso di chi ne ha viste molte. “Le nuvole non spariscono, cambiano. È diverso. Se le osserva bene, certe parti restano, solo che si trasformano.”
Elena resta in silenzio. Dentro di sé sente qualcosa che si allenta, come un nodo che finalmente inizia a sciogliersi. Respira.
Pensa a tutte le persone che ha amato e perso: un uomo che non ha avuto il coraggio di restare, un’amica che si è spenta piano ma troppo presto, suo padre che le insegnava a guardare il cielo di sera e a “riconoscere la direzione del vento con un semplice dito.”
Le sembra di capire, per la prima volta, che forse nessuno se ne va davvero.
Forse diventiamo tutti nuvole: cambiamo forma, torniamo altrove, sfioriamo chi ci pensa e continuiamo a viaggiare sopra la vita di chi ci ha amato.
“E lei,” chiede dopo un po’, “che forma ci vede adesso?”
L’uomo socchiude gli occhi, inclina la testa e dice: “Un bambino che corre. Ma potrei sbagliarmi. Potrebbe anche essere una gallina.”
Ora ridono entrambi di gusto.
Quella risata ha qualcosa di puro, come una tregua concessa dal mondo. In quell’istante Elena si accorge che, finché si ride, qualcosa di buono resta.
Poi il vento cambia, le nuvole si assottigliano e il cielo si fa più chiaro.
Elena resta lì, immobile, a guardare quel blu che si spalanca sopra di lei.
Le sembra di capire, finalmente, che la felicità non è un punto fisso: è una pausa tra due nuvole, un istante di pace fragile e bellissimo. Una risata improvvisa con uno sconosciuto, un mandarino condiviso, una voce che ti ricorda che anche tu, in fondo, puoi cambiare forma senza scomparire.
Quando si alza per tornare a casa, il cielo è limpido. Anche lei si sente più leggera, come se qualcuno le avesse restituito un piccolo pezzo di sé che credeva perduto. Cammina piano, le mani in tasca, il cuore che le batte come un tamburo distante. Mentre il vento le scompiglia i capelli, le sembra di sentire la voce di suo padre, dolce e ferma come un soffio d’aria tra i rami:
“Guarda su, Elena. Anche le nuvole, prima o poi, trovano pace. Tutti la troviamo.”
Lei sorride con gli occhi lucidi. In quell’istante — sospesa tra il cielo e la terra — si sente leggera. Quasi una nuvola, anche lei.
“La leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto senza macigni sul cuore.”— Italo Calvino
Lezioni di meteorologia sentimentale
Le sembra di capire, per la prima volta, che forse nessuno se ne va davvero

