Capitolo 2.1 (parte 18) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione. La figlia del capitano (’46) di Mario Camerini; musica di Fernando Previtali
Il film si basa sull’omonimo romanzo di A. S. Puškin, finito di scrivere nel 1836. L’azione si svolge sullo sfondo della vita della seconda metà del settecento, nella regione d’Orenburg, in Russia, durante la rivolta dei cosacchi guidati da Pugacëv. La musica dei titoli di testa risulta estremamente evocativa, potente, capace di immetterci nell’atmosfera “russa” della storia che il film racconta e di consolidarsi in due distinti leitmotiv, con l’impiego di un organico strumentale tipico del Romanticismo russo.
La scelta di Previtali per il romanticismo è obbligata, in quanto la Russia, prima del 1836, non ha una tradizione musicale colta e manifesta cui far riferimento. L’opera che segna il principio della scuola nazionale russa è Una vita per lo zar di M. I. Glinka, rappresentata a Pietroburgo proprio nel 1836. Si può dire che sostanzialmente la Russia, all’epoca in cui il romanzo è ambientato, è filo francese in fatto sia culturale che musicale, fino a far divenire la propria corte una copia esatta di quella della Francia. La nascita dell’opera di Glinka trova la sua spiegazione non soltanto nelle vicende, dalle quali la Russia è spinta a definire le proprie identità così sul piano culturale come sul piano sociale, ma anche nell’esistenza di un profondo, ma celato, retroterra musicale. Da una parte abbiamo la musica liturgica, proveniente da Bisanzio e che stabilisce un canale di trasmissione con la cultura orientale e che arriva in Russia recando l’impronta slava per la quale è passata. Dall’altra c’è un ricchissimo patrimonio di musica popolare; l’estensione dell’impero Russo è tale da comprendere genti di civiltà anche radicalmente diverse, ognuna con un suo patrimonio musicale.
Tutti i compositori russi si atterranno e attingeranno, per le loro composizioni, a questo immenso ed eterogeneo serbatoio che li renderà grandi in tutto il mondo.
Rullano i timpani che ci introducono in tempo binario (2/4) al primo leitmotiv. Il tema è affidato agli ottoni, mentre il movimento degli archi, più rilassato e dinamicamente più leggero, va a costruire un’architettura che si intreccia con quella più pesante e forte del tema. In queste primissime battute sembra essere sintetizzata la pesantezza (l’animo russo e la guerra) e la leggerezza (l’animo russo e i sentimenti di cui è capace) dell’elemento slavo. Subito dopo, abbiamo un movimento che aumenta progressivamente col rullante, con gli archi che eseguono, ora, una nuova figurazione, creando un movimento cromatico che s’intreccia con la figurazione ritmica (puntata) del tema principale, la quale, sostanzialmente, è rimasta invariata. Tutto questo dura sei battute che terminano in un poderoso crescendo ed in una successiva pausa coronata. Una nuova idea musicale, allora, del tutto diversa dalla precedente, prende piede. Abbiamo un’atmosfera del tutto rilassata, quasi magica (da sogno), in modo maggiore e in tempo ternario (3/4). Gli archi e i legni eseguono, in pianissimo, il bel tema melodico, mentre un’arpa disegna dolcemente le armonie, confermando quella situazione onirica di cui abbiamo detto. Dopo alcune battute, il tema viene ripetuto, rafforzato, questa volta, dall’intervento di viole e violoncelli che lo ripropongono ad un’ottava sotto, con gli ottoni che si muovono lentamente. Questo è il secondo leitmotiv che sicuramente ci suggerisce l’altro importante aspetto del romanzo del romantico Puškin: l’amore.
Segue nel prossimo numero a settembre! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano