Interviste

Joe Barbieri

Joe Barbieri: «La Musica dei cantautori deve saper mettere a nudo il senso dell’appartenenza»


Reduce dai successi di una più che trentennale carriera, costellata di ambiziosi progetti e collaborazioni illustri, il cantautore partenopeo Joe Barbieri (pseudonimo di Giuseppe Barbieri, classe 1973) ripercorre in questa intervista le tappe salienti del suo percorso artistico, restituendo ai lettori il ritratto di un artista coscienzioso e genuino che, sin dai propri esordi, riversa nella scrittura musicale le sue emozioni più autentiche.

Joe Barbieri, come ti presenteresti a un pubblico per il quale, paradossalmente, tu fossi un perfetto sconosciuto?
In realtà, mi succede ancora di suonare in contesti dove non mi conoscono. In questi casi, come si richiede ad ogni buon musicista, “faccio parlare” la musica: chiedo semplicemente alle mie canzoni di presentarmi e al pubblico di ascoltarle, perché riterrei ridondante o fuorviante rispetto alla performance qualsiasi altra parola.

Tu sei stato scoperto giovanissimo dal mai abbastanza compianto Pino Daniele. Che ricordo hai di lui? Puoi raccontarci un aneddoto inedito legato alla vostra conoscenza e successiva collaborazione?
Ti rispondo raccontandoti un aneddoto che potrebbe sembrare banalmente legato alla sfera materiale, ma che, al contrario, è stato specchio della sua grande, generosa umanità. Appena diciottenne, gli avevo inviato, come allora si usava, un nastro per fargli ascoltare alcune mie registrazioni, nella speranza che ne rimanesse colpito. Così fu e mi volle incontrare, ma io dovetti confessargli che non avrei avuto i mezzi economici per investire sul mio talento, come lui mi consigliava di fare. Allora, senza pensarci troppo e da vero mentore, mi regalò due chitarre, una classica e una elettrica, che custodisco ancora gelosamente.

Ancora a proposito di ‘affinità elettiva’: tra i tanti colleghi che si sono avvicendati al tuo fianco in questi anni di intense collaborazioni artistiche, ce n’è uno o una a cui ti lega un particolare rapporto d’amicizia? 
Ho splendidi ricordi di moltissimi colleghi, da Serena Brancale (recentemente apprezzata per la sua performance sul palco del Teatro Ariston N.d.R.) al tuo conterraneo, il catanese Mario Venuti, nella misura in cui fare musica e spettacolo insieme implica sempre, in un modo o nell’altro, condividere un linguaggio di alta caratura emozionale. Tuttavia, se dovessi indicare una persona con la quale condivido un vissuto non soltanto lavorativo, ma anche personale, come si fa con i veri amici, sceglierei Tosca.

Tra le tante della tua trentennale carriera, c’è una occasione che ti penti di non aver colto?
Non direi. Preferisco di gran lunga far tesoro di quelle che la carriera mi ha finora riservato. Semmai, dovessi pensarci in termini di progetti non ancora realizzati, mi piacerebbe molto avviare una collaborazione con la cantante spagnola emergente Valeria Castro (classe 1999, due volte nominata ai Latin Grammy Awards nel 2023 N.d.R.). In un panorama musicale ad alto rischio di omologazione, la trovo interessante e originale.

Il titolo del tuo ultimo lavoro, Big Bang (2025), contiene una allusione tanto chiara, quanto storicamenteambiziosa: ce la spieghi?
Comincio col dire che per me l’atto del comporre musica è in primo luogo un atto di grande responsabilità e chiarezza, sia verso se stessi, che verso il proprio pubblico. La scrittrice statunitense Flannery O’ Connor affermava: «Scrivo perché non so cosa penso finché non leggo ciò che dico». Uso spesso anche la metafora del campo messo a maggese: senza il riposo, e senza che le sementi abbiano raggiunto il giusto grado di maturazione non si può sperare in un buon raccolto. Poi, quando i frutti arrivano e sono abbondanti, talvolta non ce lo si aspetta nemmeno. Così è con le mie canzoni: la portata dell’atto creativo si chiarisce anche per me a mano a mano che se ne registrano gli effetti su chi lo riceve. Come accadde con il Big Bang, insomma…

C’è una canzone del disco a cui ti senti particolarmente legato?
Difficile dirlo, dato che ciascuna canzone deve ancora esprimere tutto il proprio potenziale, che si nutre anche della reazione emotiva del pubblico. Sicuramente, tutto il disco, come dimostra il grande lavoro sui testi, è un consapevole omaggio ai grandi cantautori – da Endrigo a Tenco – che hanno scandito il mio tempo dell’ascolto sin da bambino. Però, se dovessi sceglierne solo una, sarebbe forse Anni Luce, perché non ho dovuto rimaneggiarla, non ho dovuto lavorarci: come ogni tanto capita nella vita di un cantautore, mi è “arrivata nelle corde” già completa e l’ho amata dal primo istante.

In Tra le mille cose tu canti: “tra le mille cose che potevi dire hai fermato il tempo e hai detto il mio nome”. Che cosa significa, per te “dire il nome”?
In questa canzone, l’imposizione del nome ha a che vedere con la sensualità di un soggetto femminile che regala la propria voce e la propria visione del mondo all’amato; a Napoli, quando si vuole (ri)conoscere una persona, di solito le si chiede: “Tu a chi appartieni?”. In generale quindi, per me, l’atto di nominare, rimanda al concetto dell’appartenenza. Lo stesso che innerva la Musica, lo stesso che innerva l’Arte, questo immenso patrimonio di tutti…

 

About the author

Maria Concetta Trovato

Maria Concetta Trovato ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Filologia Moderna presso il DISUM (Dipartimento di Scienze Umanistiche) dell’Università di Catania nel 2016, con una edizione critica dei Dialoghi con Leucò di Pavese, attualmente in corso di pubblicazione per Sinestesie.
Due volte insignita del Premio Pavese per la saggistica inedita, dal 2015 è socia della MOD (Società italiana per lo studio della modernità letteraria) per la quale ha curato diversi contributi critici, editi da ETS. Nel 2021 ha partecipato all’edizione Mondadori dell’Opera Poetica di Pavese, occupandosi specificamente della sezione relativa alle prove di traduzione dello scrittore dalla poesia inglese e americana.
Ha recentemente contribuito al volume Cesare Pavese Mythographer, Translator, Modernist. A Collection of Studies 70 Years after His Death per la casa editrice Vernon Press di New York.
Attualmente è Docente di Ruolo di Discipline Letterarie e Storia, nonché Referente del Corso Serale, presso l’Istituto Alberghiero “Principi Grimaldi “di Modica (Ragusa)

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