Capitolo 2.1 (parte 16) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione. In Nome Della Legge (’49) di Pietro Germi; musica di Carlo Rustichelli
Ed infatti, non appena la voce tace, insieme alla musica, vediamo consumarsi un omicidio: due banditi trucidano un contadino per appropriarsi delle due mule appartenenti al barone.
Lo stesso leitmotiv, di cui sentiamo in prevalenza e sempre variato il nucleo spagnoleggiante, accompagna la lunga sequenza dell’arrivo del nuovo pretore, Guido Schiavo (Massimo Girotti) a Capodarso. Vediamo un breve colloquio fra lui e il vecchio pretore che invece sta partendo e che lo avverte di fare altrettanto, ché lì non c’è posto per l’ordine e la legge dello Stato.
Poi vediamo la corriera attraversare il paesaggio deserto e raggiungere il paesino che si presenta con pochissime case, tutte rigorosamente bianche, con le capre, e pochi paesani, vestiti tutti in nero, i quali scrutano il giovane pretore come si fa quando si vede un marziano.
La musica segue tutta questa lunga sequenza, come abbiamo detto, mantenendosi in quelle variazioni spagnoleggianti che si adagiano perfettamente al paesaggio siciliano, coprendolo di un alone misterioso, quasi si fosse giunti in un paese realmente lontano dall’Italia e dalla nostra cultura.
Il giovane pretore, simbolo della legge dello Stato, è come un estraneo che si sia avventurato in paesi lontanissimi e sconosciuti e questo è proprio la musica a sottolinearlo in un modo che non lascia spazio ad alcun dubbio.
Nella piazza principale, dove si trova la corriera, vediamo arrivare il sindaco ed il cancelliere, subito caratterizzati dalla musica che diverrà vero e proprio leitmotiv del sistema burocratico e dei suoi uomini senza alcun peso nell’ordine del paese. Una musica ironica, beffarda, irriverente, che ricorda una tarantella, viene eseguita dagli archi e dalla tromba; la scena è resa ancora più comica dall’inserzione di brevi frasi di flauti, oboi e fagotti che fanno veramente credere, per un attimo, di trovarsi di fronte ad un film comico. Tutto questo, non fa che farci sentire, ancora di più, la tragicità di un paese senza legge, dove i simboli dello Stato sono dileggiati da tutti e si rivelano totalmente incapaci, nella maggior parte, a superare la loro esistenza clownesca, la quale, pure, è considerata da loro stessi come qualcosa di immutabile e quindi, per abitudine, anche dignitosa. Ed è bravissimo Rustichelli a passare da un nucleo melodico drammatico ad uno perfettamente comico, fondendoli, comunque, in un corpo che fa tutt’uno, senza mai farci avvertire quell’indipendenza musicale e di significato che pure li caratterizza, quasi a voler suggerire che la tragicità confina, in fondo, con il paradosso da cui scaturisce l’ilarità. Avremo molti esempi, durante il corso del film, di questo saper passare da un significato all’altro attraverso la musica che segue puntigliosamente le immagini cui s’accompagna, confermando quell’ispirazione melodrammatica cui il musicista resta legato e che lo aiuta, nel cinema, a risolvere acutamente molte scene e caratterizzazioni, proprio come si fa solitamente nella tradizione del teatro lirico.