C’è stato un momento della vita di qualsiasi essere vivente pluricellulare nel quale quell’organismo era una sola cellula. Questa prima cellula per dare origina a un nuovo organismo e dunque permettere la vita, deve replicarsi fino a formare miliardi di cellule. Non solo, molte di queste cellule continueranno a replicarsi per tutta la vita dell’individuo. La possibilità di vita risiede quindi nella capacità di replicazione delle cellule.
Per realizzare ciò, i cromosomi, le strutture lineari in cui è organizzato il DNA, devono duplicarsi a ogni divisione cellulare. Il meccanismo di duplicazione del DNA si porta dietro però una conseguenza: ad ogni replicazione le estremità dei cromosomi, i telomeri, si accorciano. Ne viene che, di replicazione in replicazione, i cromosomi si accorciano progressivamente fino a quando la loro erosione è tale da portare alla senescenza della cellula e quindi alla sua morte. E’ una morte programmata e inevitabile nota con il nome di apoptosi.
In poche parole, se una cellula si replica, inevitabilmente si avvicinerà alla sua morte.
Tra i numerosi e complessi fattori che portano alla senescenza e alla morte c’è dunque anche l’accorciamento dei telomeri. Nella grande corsa alla ricerca di metodi per non invecchiare, è nata quindi un’area della ricerca che indaga metodi per impedire l’accorciamento dei telomeri.
Esiste infatti un enzima, la telomerasi, attivo naturalmente in cellule staminali e germinali, ma normalmente assente nelle cellule somatiche, che può “riallungare” i telomeri. La soluzione sembrerebbe semplice, ma non è così.
Una cellula che non invecchia è una cellula immortale, e una cellula immortale è spesso una cellula tumorale. Circa il 90% dei tumori riesce infatti ad attivare la telomerasi, permettendo alle cellule cancerose di dividersi indefinitamente senza morire. Tentare di fermare l’invecchiamento solo attraverso l’attivazione della telomerasi, dunque, apre la porta a conseguenze molto gravi.
Esistono organismi come le aragoste che grazie a telomerasi sempre attive, sembrano non invecchiare mai. Ma anche così le aragoste non riescono ad eludere la morte. Predazione o incidenti a parte, il processo di muta diventa per loro troppo oneroso e muoiono per esaurimento fisico a causa di un carapace troppo pesante.
La Turritopsis dohrnii, la medusa immortale quando è stressata o ferita, regredisce al suo stato giovanile (polipo), poi ricresce e teoricamente può ripetere questo ciclo all’infinito. Le idre e le planarie hanno capacità straordinarie di rigenerazione, così come sembra che esistano vertebrati particolarmente longevi. Si stima ad esempio che l’esemplare più anziano finora noto di squalo della Groenlandia,
Somniosus microcephalus, sia nato nel 1505, cioè prima della nascita di William Shakespeare o del Tintoretto, prima della Riforma Protestante e prima del processo a Giordano Bruno.
Eppure, in un modo o nell’altro, la morte sembra inevitabile: quando non c’è più olio, il lume si spegne!
Perché esiste la morte?
La risposta non è né semplice, né definitiva. Dal punto di vista evolutivo, la morte non è un errore, ma una strategia adattativa. Senza la morte, senza la nascita di individui “diversi” non ci sarebbe la possibilità di adattarsi ai cambiamenti ambientali. Più a lungo si vive, inoltre, più aumenta la probabilità di accumulare danni rendendo sempre più complesse le strategie di riparazione.
Dal punto di vista evolutivo è più efficiente fare nuovi individui piuttosto che riparare quelli vecchi. Il vero senso della vita, dal punto di vista biologico, non è la sopravvivenza individuale. Ciò che veramente importa è passare i geni alla generazione successiva. Dopo aver adempiuto a questo “dovere” biologico, mantenere in vita un organismo non ha più valore evolutivo.
C’è una visione estrema della vita sul nostro pianeta. Tutti noi, tutti gli organismi viventi passati e futuri altro non siamo che dei meccanismi al servizio degli acidi nucleici (DNA e RNA), niente di più che dei “contenitori” che permettono al DNA di replicarsi e di non morire mai. Il DNA è immortale attraverso di noi.
Immortalità
Il DNA diventa immortale attraverso di noi