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Il torbido è bello ma non sempre è vero

Lo scopo ultimo delle tante storie che leggiamo non è raccontarci la verità ma solleticare piuttosto la nostra torbida indiscrezione.

Il bene è banale. Non attrae, non stuzzica. Le limpide biografie dei benefattori sono carta da ardere o da imballaggio. Nessuno è interessato a leggere delle opere di carità di Madre Teresa, ma semmai delle perversioni che si nascondevano sotto, del suo lato oscuro. A risultare particolarmente attraente, almeno per i gusti triviali del grande pubblico (cui appartengo) è l’associazione di concetti in contrasto tra loro, il cortocircuito. Irresistibili le espressioni come “la banalità del male”, “i bambini di satana”, “la suora maiala”. Purtroppo quasi mai le suore sono sufficientemente maiale o i bambini abbastanza cattivi da ispirare una letteratura seducente. Manca la materia prima per accendere l’apatia del lettore, per sondare gli anfratti più torbidi, e interessanti, dell’animo umano. Almeno quando ci si limita a raccontare la propria esperienza di vita.
Va ancora peggio se la storia personale cui attingere è quella di una famiglia perfetta. Come di fronte alla lucente trinità, si contempla estatici, ma infinitamente annoiati, la grandezza del proprio padre pluridecorato che ha salvato i destini del mondo e di una madre senza vizi, senza difetti, né morali né mentali né fisici, bella e buona e brava, unicamente dedita al bene e all’altruismo: chi può essere così infame da infangare la loro immagine di gloria, da lordare l’altare che entrambi si sono guadagnati sul campo? Chi? Taccia costui e legga piuttosto la loro biografia e quella dei loro avi, accorra umilmente al cospetto di tanta grandezza, osservi silente, prostrato, apprenda e tenti di prendere a esempio, perché questo, tutt’al più, gli è consentito.
Per non parlare della prole: quattro figli anch’essi esenti da vizi, che mai cederebbero (se non per forza maggiore ma questa è un’altra storia) alla lussuria, alla superbia, all’avidità o all’avarizia, che mai tradirebbero. In verità vi dico, triste è il destino di colui che, provenendo da una simile famiglia modello, anziché ringraziare tutti i giorni in ginocchio per la fortuna ricevuta, provi frustrazione per la mancanza di ispirazione alle sue misere ambizioni letterarie. 
Gli sarà al massimo concesso di immaginare, per mero intento ludico, di appartenere a una famiglia diversa, di sognare i medesimi irreprensibili parenti non più nella veste di cittadini modello ma soggiogati da una natura maledettamente umana di peccatori deteriori, affetti da debolezze carnali, vigliaccheria, perversione, financo, capaci di infliggere sofferenze a sé stessi e al prossimo, di palesare infantilismo e idiozia persino.
Ma quand’anche possiate essere attratti da questa narrazione fantasiosa, al punto da sperare che di verità si tratti, rimembrate a voi stessi che di finzione si tratta e che lo scopo ultimo delle tante storie che leggiamo non è raccontarci la verità ma solleticare piuttosto la nostra torbida indiscrezione.

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Hellraiser Hellraiser

Ultimo di quattro figli, Francesco si è guadagnato con il sudore della fronte l'appellativo di "pecora nera" in seno ad una famiglia votata all'ecologia.
La passione per i motori nella vita privata e la carriera nelle banche d'affari a Londra e Milano hanno forgiato un cv controcorrente, poi riscattato con il romanzo di denuncia “Criminal Bank” (Laboratorio Gutenberg) e con la conversione professionale in paladino dei risparmiatori traditi

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