Orfana del mai troppo compianto Gigi Proietti, ogni volta che entro a teatro è come se mi risuonasse in petto la sua voce che mi accoglie con i versi di Trilussa: Viva er teatro, dove tutto è finto, ma niente c’è de farzo e questo è vero.
Con un curioso sofisma, l’ultimo Re di Roma ci racconta che nella realtà fatata del palcoscenico è possibile che l’opposto di ”finto” non sia “vero”, bensì “falso”; e che attraverso questa finzione si possa dire qualcosa di vero. L’attore finge di essere Amleto, ma non è Amleto; e lo spettatore, complice, finge di credere che lo sia davvero. In mezzo a tutto questo accadono delle cose straordinarie e si possono dire delle cose straordinarie. Questa finzione, dichiarata, è qualcosa di profondamente onesto.
[…]nessun attore vero vo’ fa crede
spignenno forte sull’intonazione,
che è tutto vero quello che se vede,
lui vole fa’ capi’ che è ‘na finzione […]
A rivitalizzare un Sanremo che fino alla deflagrante esibizione dei Måneskin con Manuel Agnelli come unico
brivido riservava la conta di quanti cantanti in gara effettivamente si conoscessero, quest’anno arriva
un’altra bomba:
- Drusilla Foer vola sui social, “a Sanremo vince l’inclusività” (Ansa.it, 12.1.2022)
- Drusilla Foer a Sanremo e il crossdressing che diventa un affare di Stato (Valigiablu)
- Drusilla Foer è l’alter ego dell’attore fiorentino Gianluca Gori che ormai interpreta il ruolo della ricca e elegante Drusilla (Firenze Today, 24.1.2022)
- La prima conduttrice ‘en travesti’ a Sanremo (La Stampa, 12.1.2022)
- Drusilla Foer: non chiamatela “en travesti”, please (Il Sole 24ore, 14.1.2022)
Immagino la felicità di Ornella Muti e …. e …. come si chiamano le altre? Quelle sconosciute all’80% del pubblico medio del festival, quelle note per le fiction della rete generalista e quelle riemerse dalla naftalina… nel vedersi scalzate già nei titoli dei giornali da una competitor anomala: un uomo! E per giunta più femmina di tante. Ma è realmente così? Ma è davvero importante?
Si sa che siamo il paese dalla corta memoria e non so se sia già stato menzionato che fra le Ragazze Coccodè dell’indimenticabile Indietro Tutta di Renzo Arbore nel 1987 c’era anche Franco Caracciolo.
In attesa dell’insindacabile commento di mia madre e del gerontocomio condominiale, vero zoccolo duro dell’auditel, noto con sgomento che l’interesse primario dei primi titoli che annunciano la “Magnifica Presenza” sanremese è svelare, come se fosse un mistero, chi si cela dietro questa “ambigua” figura, tanto che a questo punto mi aspetterei per coerenza che dal prossimo Natale in ogni pubblicità che si rispetti appaia un disclaimer tipo “dietro l’uomo con la barba vestito di rosso si celano in tutto il mondo anonimi figuranti pagati all’uopo”.
In linea con la più pura ortodossia sanremese, si scatena l’italianissimo prequel del festival nella ridda degli attesissimi commenti dal vago sentore omofobico velato di biedermeier, degli entusiasmi per la folgore che ha (finalmente?) illuminato la tematica dell’inclusione, e di chi, con un vezzo di navigata altezzosità chiosa: “non c’è nulla di nuovo, imita soltanto questo e quest’altro”. Con ciò distruggendomi quell’unica lucciola di speranza che il festival potesse non essere sempre e necessariamente lo specchio fedele dello stato dell’italica borghesia. Non sembrano allora poi così lontani i tempi delle “pericolosissime” Sorelle Bandiera: (La Stampa, gennaio 1979): “Non ci sono obiezioni contro il travestitismo (purché non emargini dalla tv le donne); ci si chiede piuttosto se il fenomeno delle tre sorelle non abbia anche implicazioni critiche e politiche”. Sembra di sentire il sen. Pillon preoccupato che Drusilla Foer tolga spazio ai padri di famiglia.
Non ci siamo evoluti affatto…
Il festival di Sanremo è solo una ‘kermesse canora’ in tutta la sua bollita vetustà che si tramanda, appunto, in questa definizione che credo si usi ormai soltanto per questo Festival – o deve essere per forza di legge anche il riflesso del paese nelle sue più fruste abitudini e incancreniti schemi? È spettacolo, siamo in un teatro dove passerellano artisti – degni o meno di questo nome – cui non va chiesta in prima battuta la storia della loro vita, ma ci si deve solo godere ciò che hanno da raccontare. Personalmente, non voglio sapere che non è realmente la Befana a lasciarmi la calza in cucina il 6 gennaio, alla stessa stregua in cui per ascoltare lo struggente e chirurgico monologo di Paola Cortellesi sul tema della violenza nelle parole non mi interessava sapere se fosse sposata o avesse dei figli, né tampoco le sue preferenze sessuali. Se qualcuno ha qualcosa di interessante da dire e lo sa dire bene, tendo a non chiedergli le credenziali (cosa adeguata per esempio, che so, in Parlamento !?), semmai mi accomodo e mi lascio sorprendere.
Il punto è che da spettatrice media mi disturba un po’ che si deputi alla vetrina sanremese il compito di fare il punto della situazione sulla mentalità del paese e su quanta divisività corra ancora lungo tutta la dorsale appenninica, intralciando la mia lamentela che, tranquillizzante, si ripete ogni anno sulle canzoni che non si ricordano più dopo tre giorni e che mancano di melodia.
La squisita Drusilla ha usato il termine più giusto per Sanremo e al contempo più teneramente ingenuo,
definendolo “fenomeno aggregante”. E allora posso godermi in santa pace lo spettacolo? Perché è un festival di musica e non Tribuna Politica. Come se, come ricordava l’amato Gigi, una recensione in terza pagina principiasse specificandomi che Amleto in realtà è Gigi Proietti che ha solo finto di essere il Principe di Danimarca. Sono sicura che qualunque cosa arriverà da Drusilla al pubblico, non arriverà né dal vestito né da ciò che dirà, ma arriverà da ciò che è… proprio lì, dove tutto è finto e niente è falso.
Io adoro ascoltare Drusilla: linguisticamente è una innovatrice dell’antico, riabilita termini desueti incastonati in sintagmi modernissimi che diventano i dardi esilaranti che scocca con la precisione di un arciere medievale, che – se proprio devo proseguire con questi estenuanti paragoni – mi fanno pensare alle perle di Franca Leosini. L’uso sapiente di un periodare ineccepibile confeziona quell’elegante sarcasmo che non cede mai alla volgarità, e che è diventata la sua cifra stilistica cui non è mai venuta meno, anche toccando tematiche controverse, e mai mancando di prendere posizione con garbo e fermezza; tutto ciò che affronta si vela di serietà e arguta leggerezza. Oops, credo mi sia sfuggita una perifrasi per “intelligenza”.
Ormai anche il mio cane sa che questa anziana soubrette, come lei vuole definirsi, è un’icona di stile e di eleganza, ironica e anticonformista. A parte che queste sarebbero doti di base che amerei trovare in tutte le persone di cui accetto di circondarmi, se fossero queste le sue peculiarità ed è per questo che viene chiamata, il mondo dello spettacolo ci sta implicitamente confermando quanto ne abbia effettivamente bisogno.
Poco credo che influenzino realmente il giudizio gli esempi con cui viene confrontata per tentare di concludere che non è un personaggio innovativo; pur se c’è da ammettere che sono tutti raffronti di estremo buon gusto e pur avendole io stessa detto che è riuscita, se possibile, a migliorare la già perfetta&divina Marlene Dietrich, rendendola un essere umano. Secondo alcuni imiterebbe (l’immenso) Paolo Poli? E perché mai? Perché è toscana? Perché Paolo Poli e l’altrettanto immensa sorella Lucia sono tra loro più simili di Drusilla accanto a Gianluca? Perché la cifra di entrambi è quella di un irresistibile, gustosissimo surreale cinismo? Siamo su un palcoscenico, fisico o catodico che sia, c’è spazio per tutti…. Anzi, ora che ci penso, non avrei visto affatto male Drusilla con Umberto Eco, come nel lontano 1970 Paolo Poli nella trasmissione “Babau” a trattare proprio il tema del conformismo:
“Umberto Eco – Cos’è il conformismo?
Paolo Poli – È la cravatta che ti sei messo per venire qui in trasmissione.
Umberto Eco – È il maglione che ti sei messo per far vedere che sei un attore. […] Il conformismo è l’osservanza di alcuni modelli della società. Alcuni di questi sono modelli validi: si tiene la sinistra, non si attraversa col rosso… Altri sono modelli (si spera) superati come il matrimonio combinato. Come viene imposto il modello? A scuola, con le trasmissioni TV, tramite la parola del nonno … Di fronte all’esistenza di questi modelli c’è l’anticonformista, ma non l’anticonformista da strapazzo, quello delle bizzarrie: quello che se tutti portano il cappello, lui mette il turbante. L’anticonformista vero è colui che denuncia i modelli per quel che sono, per la loro falsità.“
Il popolo che si aggrega intorno al festival ci lascia intravedere in che misura il paese è ancora impregnato di conformismo, nella sua definizione di abitudinaria, piatta adesione alle opinioni e ai gusti della maggioranza: in questo tentativo maldestro di staccarci da questi modelli finiamo col confermarli per converso una volta di più. Al termine “modelli” possiamo oggi serenamente sostituire, dal punto di vista semiologico ma anche sociologico, il termine “stereotipi”: ciò che, come avviene nei processi di stampa, ci condanna ad essere sempre uguali, in una soffocante ripetizione di noi stessi.
Quale istanza dunque migliore di Drusilla, per dirla con Gigi e con Trilussa, per dire cose vere in modo onesto con la complicità del pubblico? E se devo pensare a Marlene Dietrich guardando Drusilla, penso a quello che ne disse Ernest Hemingway: “…E’ coraggiosa, bella, fedele, buona, generosa e in sua compagnia non ci si annoia mai. …. Il suo senso della vita, che è insieme onesto, comico e tragico, le vieta di essere veramente felice, a meno che non ami. Quando ama, può
scherzarci sopra, ma con un umorismo macabro. Se avesse soltanto la voce, avrebbe già quanto basta per spezzarti il cuore. Ma ha anche un corpo magnifico e un viso d’eterna bellezza. Che importa se ti spezza il cuore, quando è lì per
raccomodarlo? Incapace di crudeltà e d’ingiustizia, sa tuttavia andare in collera. Gli sciocchi l’annoiano, e glielo fa capire chiaramente, a meno che non abbiano bisogno d’aiuto. Non è mai avara di compassione per quelli che hanno preoccupazioni gravi. Marlene nella vita si dà le sue regole, ma le norme di comportamento e di decenza che impone a sé stessa e nei suoi rapporti con gli altri non sono meno rigorose dei dieci comandamenti. È probabilmente questo che la rende così misteriosa: il fatto che una creatura ricca di bellezza e di talento, che potrebbe sempre agire di testa propria, si permetta soltanto ciò che ritiene profondamente giusto, e che abbia l’intelligenza e il coraggio di darsi delle regole e di seguirle. Io so che ogni volta che ho visto Marlene Dietrich, mi ha fatto qualcosa al cuore, mi ha reso felice. Se è questo a renderla misteriosa, è un bellissimo mistero”.
E se poi invece il sogno di una anziana soubrette fosse questa co-conduzione di Sanremo, non posso in questi
ridondanti paragoni non evocare le Gemelle Kessler, le uniche con cui lei possa competere per stacco di coscia.
E da ultimo, per soprammercato, evocherei allora la grazia e il sorriso sornione di Nicoletta Orsomando.