Sulla musica

Il Mulino del Po- Musica di Ildebrando Pizzetti

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Scritto da Annalisa Nicastro

I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione Il Mulino del Po (’49) di Alberto Lattuada; musica di Ildebrando Pizzetti

Capitolo 2.1 (parte 14) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione
Il Mulino del Po (’49) di Alberto Lattuada; musica di Ildebrando Pizzetti

Orbino e Berta si trovano fuori nei campi e una scarica elettrica colpisce una falce vicino al loro, provocandogli solo uno stordimento. Orbino, mentre il putiferio e la musica continuano a scatenarsi, si rifugia insieme a Berta, ancora svenuta, in un capanno. Quando i due cominciano a parlare del loro impossibile amore, dell’escomio e del loro reciproco e frustrato desiderio, i violini risultano del tutto superflui nel loro accompagnamento petulante. La musica, infatti, avrebbe dovuto fermarsi dopo, o con, il fulmine e lasciare che il dialogo fra i due amanti si svolgesse in tutta la sua concreta drammaticità.
Lo sciopero della lega dei lavoratori è ormai in atto. Princivalle è uscito dalla galera e trova una situazione del tutto mutata dalla sua carcerazione. Il padrone chiama a lavorare le forze dell’ordine, militari di origine contadina che faranno la mietitura al posto dei braccianti in sciopero. C’è una rivolta provocata dalle donne che vengono arrestate. Per liberarle bisogna far cessare lo sciopero. Ma il popolo è ormai in rivolta; Berta viene additata da Raibolini come crumira e traditrice (non fa parte della lega dei lavoratori), diventando vero e proprio capro espiatorio. Orbino (pur essendo di quelli della lega, perché Verginese) interviene sferrando un duro colpo al terribile e infingardo Raibolini che ancora una volta giura tremenda vendetta.
mulinodelpo_coverfilmPrincivalle, appena saputo l’accaduto dalla sorella, si precipita furioso alla ricerca di Raibolini, con l’intenzione di ucciderlo. Quando lo trova, vigliaccamente questi gli dice che ad aizzare la folla contro la sorella non è stato lui, ma i Verginesi e che Orbino se la rideva grassamente. In un impeto di cieca follia Princivalle trova e uccide Orbino che non ha neanche il tempo di spiegare come sono andate veramente le cose. La vera tragedia è ormai consumata. Raibolini, approfittando dell’assenza di Princivalle, prende il corpo e lo butta nel Po. Nel frattempo arriva Princivalle che si fa dire da Raibolini dove ha messo Orbino. Disperato, Princivalle si reca di sera dal saggio del fiume, Scanzafrasca, il quale gli dice che il corpo emergerà il mattino dopo all’alba e che è richiesta la presenza della sua amata. Mentre attendono, Scanzafrasca, vero vate di un’antichissima e mai sopita religione pagana del fiume, avverte le donne di non pronunciare preghiere cristiane. Puntualmente, all’alba vediamo sorgere il corpo di Orbino e Berta che va a dargli, affranta dal dolore, l’estremo saluto, mentre Princivalle si allontana per andare a costituirsi.
La musica di questo suggestionante finale è quella dei titoli di testa, fusa col motivo popolare. Il largo e drammatico movimento degli archi si rivela in tutta il suo eclatante romanticismo, potenziando al massimo grado lo struggimento e insieme l’intima religiosità della scena, in cui il fiume è visto come vero Dio, capace di assolvere in sé, nel suo eterno scorrere, il bene e il male dell’umanità, redimendo chi resta e purificando chi se ne va per sempre.
Ildebrando Pizzetti è veramente un grande musicista, capace di creare, con la musica, delle bellissime espressioni evocative, penetranti che con taluni immagini fanno corpo a sé. Il tardo romanticismo ritrova con lui la sua vera forza emotiva, capace di smuovere la rudezza della realtà fotografica e di farla assurgere a più alto ideale. Perché è proprio nell’idealità, in un mondo cioè altro che si riconosce l’arte musicale pizzettiana, atta a trascendere più che a confermare. La stessa cosa non si può dire in altre sequenze, nelle quali la coloritura e il descrittivismo prendono il sopravvento a tal punto da dimenticarsi degli uomini, relegandoli a puri risultati e mai a soggetti; in tali scene il sincronismo mimetico ha il sopravvento assoluto, non facendo che confermare quanto già detto dall’immagine.
Riesce Pizzetti laddove, invece, riesce a mantenere un certo equilibrio fra uomo, ambiente e idealità, cosa molto difficile da ottenere, ma che pure, sovente in questo film, abbiamo vista confermata in maniera esemplare. Anche nell’uso dei motivi popolari, siano essi nella musica o nei cori della Val Padana provenienti dalla pellicola, si può scorgere quell’intento di far vivere quell’equilibrio prima postulato fra ambiente, coralità e idealità. Quando ciò non accade, ecco che il grande musicista cade nei facili e scontati tradizionalismi della musica cinematografica che non possono che lasciarlo deluso del suo lavoro nel cinema, cosa che non gli accade mai nelle sue opere musicali.
Il cinema, allora, rappresenta una tale prigione per voli creativi del Maestro che è facile supporre come egli si sia ritenuto complessivamente deluso dal cinematografo, al quale dopo questo film non ha più lavorato, ripiegando su quella che sola poteva garantirgli assoluta beatitudine, la musica.

[box]Segue nel prossimo numero! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano[/box]

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione

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