Capitolo 2.1 (parte 14) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione
Il Mulino del Po (’49) di Alberto Lattuada; musica di Ildebrando Pizzetti
La notte padron Cecilia ordina di staccare le corde al conta giri, ché la piena è la befana dei mugnai (facendo girare le pale più velocemente, si ottiene più macinato). Princivalle, però, s’oppone, perché ha un brutto presentimento che quella sera potrebbe arrivare la finanza (la vendetta di Raibolini). La madre non vuole sentir ragioni: il Mulino deve macinare per loro e non per il governo. Durante la notte la finanza arriva davvero e Princivalle, non riuscendo a riattaccare le corde, sotto suggerimento della madre, brucia tutto col petrolio.
Nasce la drammatica sequenza del Mulino in fiamme, con i mugnai che cercano in tutti i modi di salvare il salvabile e Princivalle che prende fuoco, viene salvato dalla finanza e arrestato. La musica, anche qui, cerca di descrivere quello che sta accadendo, restituendoci i bagliori del grande fuoco che avvolge e distrugge tutta la vita di quella povera famiglia. Più che la musica, qui, ad essere suggestionante e fortemente evocativa sono le immagini, accompagnate mimeticamente e sincronicamente dall’agitata melodia, la quale, però, non dice null’altro.
Questo del descrittivismo è un elemento ricorrente nella musica che Pizzetti crea per questa pellicola, la quale in questa scena, però, ha una tale corrispondenza nelle immagini che non la si riesce a distinguere nettamente da esse; tuttavia, è l’immagine fotografica a conglobare e a riassumere in sé tutta la sonorità e non viceversa.
Intanto la lega dei lavoratori si è costituita. Berta, dopo la sciagura del Mulino, è andata a lavorare nei campi con Orbino. Il padrone delle terre rinnova la produzione, introducendo le prime macchine trebbiatrici meccaniche e i braccianti non vogliono lavorarci. Il padrone chiede ad Orbino di mediare con la sua gente che è ormai nelle mani del socialismo e se non accettano li caccerà via tutti, meno Orbino. Quest’ultimo gli fa presente che i Verginesi (la sua famiglia) è lì da trecento anni e che, se dovesse dargli l’escomio, lui resterà fedele alla sua gente.
Lo vediamo allora raggiungere i campi, mentre si sta abbattendo un furioso temporale. Gli archi all’unisono l’accompagnano, eseguendo movimenti concitati e drammatici, e quando incontra zi’ Luca e gli racconta dell’encomio, quest’ultimo resta impassibile. Ad avvertirci, però, del suo sconcerto interiore interviene un solo di clarinetto che si produce in una veloce scala cromatica, riflettendosi anche nel tremendo temporale ormai scoppiato, con la fitta pioggia e i furenti lampi.
In questa sequenza è dato riconoscere anche il forte gusto figurativo di Lattuada, nelle sue drammatiche inquadrature atte a riprendere, artisticamente, le braccianti che lavorano sotto quel cielo terrificante e plumbeo che preannuncia il temporale (si veda in tal senso anche le sequenze dei contadini nullafacenti ed immobili all’esterno della cascina durante lo sciopero).
[box]Segue nel prossimo numero! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano[/box]