Arti e Spettacolo Interviste

Il cineamatore – Intervista a Marco Perri

Scritto da Michele Tarzia

Per chi fa film come li facciamo noi poi, diventa impossibile scindere il politico dall’artistico, i nostri film sono atti di resistenza al di là del loro valore intrinseco che potrebbe anche essere nullo. Potrebbero non essere delle opere ma di certo sono degli atti politici

Marco Perri, cineasta contemporaneo con l’animo inquieto, ed esploratore di un cinema fatto con amore e introspezione.
Quell’amore che potremmo definire “amatoriale”. Amatore, dal latino: amator.

Marco, il cinema che produci oggi è quello che ti immaginavi di fare dieci anni fa? Come e cosa è cambiato durante questi anni?
Innanzitutto vorrei esprimere il grande piacere nel fare questa chiacchierata con te, possiamo confidare ai nostri quattro lettori (risata!) di essere amici e di condividere il sogno ad occhi aperti del fare cinema.
Per rispondere alla tua domanda direi di no, i film che realizzo oggi non sono minimamente quelli che immaginavo di fare dieci anni fa, direi al contrario che ho iniziato a fare film con una certa continuità dal momento in cui ho smesso di immaginare quel che avrei voluto fare e mi sono dedicato a quel che pensavo fosse necessario fare compatibilmente con quel che era nelle mie possibilità realizzare. Credo che sia questa la cosa più importante che è cambiata nel mio modo di approcciarmi al lavoro.

Ti definiresti un regista politico o un regista che parla di politica nei suoi film?
Spero di non essere uno di quei registi che fa film in cui si parla di politica…sarebbero film molto noiosi…più noiosi di quel che già sono (risata!). Scherzi a parte ho sempre cercato di fare mia l’espressione di Godard quando diceva che bisogna fare politicamente dei film e non
semplicemente limitarsi a fare dei film a tema politico, anche perché ogni atto che compiamo fuori dal privato delle nostre abitazioni è già di per sé un atto politico. Per chi fa film come li facciamo noi poi, diventa impossibile scindere il politico dall’artistico, i nostri film sono atti di resistenza al
di là del loro valore intrinseco che potrebbe anche essere nullo. Potrebbero non essere delle opere ma di certo sono degli atti politici.

Circa un anno fa scrivevo di te sul mio blog, a proposito del progetto filmico Natani Nez – Diario dal sottosuolo (2020) e definivo il tuo modo di filmare ‘scrittura per immagini’ e il tuo montaggio, invece, come una sorta di ‘esplorazione della vita’. È così?
È una definizione molto bella, ma non saprei dirti se è così o meno. È vero che mi piace usare la macchina da presa come fosse una penna, per citare un grande autore a noi caro, così come è vero che cerco di usare il montaggio per scoprire la relazione tra due quadri, credo che il montaggio serva principalmente a questo, farci scoprire relazioni nuove tra cose già note come sosteneva Bresson.

Frame dal film Passione ’21 di Marco Perri

Ho visionato la tua ultima opera, Passione ’21 (2021) e l’ho trovato un film geniale e magico. Ma ho anche notato un parallelismo con il Caravaggio (1986) di Derek Jarman. Se così fosse, ce ne parli?
Beh grazie per l’apprezzamento e per l’accostamento. Sicuramente Jarman è uno dei riferimenti per ogni lavoro che faccio. Il tema della passione di Cristo è parte della cultura popolare occidentale e nei secoli è stata affrontata da molti artisti. In una lunga chiacchierata che feci anni fa con Paolo Benvenuti ad un certo punto parlando di Caravaggio lui mi fece notare come nelle sue opere non vediamo tanto la passione di Cristo quanto la vita delle persone nel ‘500, mi aveva rivelato cioè il valore culturale della tradizione, oltreché un altro aspetto del genio di Caravaggio che mostrava il set molto prima della scoperta cosciente del meta linguaggio. Il film parte da questo, dal voler far rivivere una tradizione popolare oramai persa nei nostri paesi.
Mi considero un senza dio nel senso etimo, a – teos, ho passato i primi 30 anni di vita a riflettere e studiare su questo argomento così cruciale e posso affermare, alla soglia dei quarant’anni, di aver superato anche la dimensione giudaico- cristiana che domina la (in)coscienza civica degli europei del sud, dunque il punto di partenza è stato prettamente antropologico. Di Jarman è certamente presente lo spirito, quando fa il film su Caravaggio o quando fa il film su Wittgenstein non assistiamo ad una biografia ma ad un ritratto, il film è girato caravaggiescamente o wittgensteinianamente (passatemi le terribili aggetivazioni!).
L’approccio è molto simile, non volevamo fare un film cristologico su una divinità ma mostrare come la storia di un uomo è diventata mito nel racconto di altre persone e contemporaneamente ritracciare il senso delle parole che quest’uomo ha pronunciato in vita. In questo la voce di Marcello Sambati e i testi del poeta Marco Caporali sono stati fondamentali così come il lavoro sulla musica fatto da Simone Petracca, Cristian Morello, Francesco Rizzo e Noemi Serrao.

Consiglia un film e una canzone ai lettori di SOund36.
L’Argent (1983) di Robert Bresson, The Partisan di Leonard Cohen.

Per approfondire il lavoro di Marco Perri potete visionare il sito www.neptunespears.net o la sezione film su www.lacameraverde.org

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Michele Tarzia

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