L’attuale nona generazione videoludica, di cui PlayStation 5, Xbox Series X e Nintendo Switch 2 portano la bandiera, incarna l’ombra incombente della morte del medium, e la falce la porta il consumatore.
Dall’uscita dell’ultima console Sony è cominciato un pericoloso trend che mette sempre più da parte l’autore, mentre la durata della vita di un gioco online senz’anima o le operazioni nostalgia degli interminabili remake hanno assunto la priorità.
Per la PlayStation 5 sono stati persi anni di sviluppo in progetti senza capo ne coda nella ricerca del Game as a Service di successo, con cui l’azienda ha consciamente preso la decisione di scommettere sulla fiducia del pubblico, cercando, prima o poi, di fare un colpaccio che però non è mai arrivato.
Astro Bot, la gemma in un mare di delusione, sembrava rappresentare una ripresa dall’inciampo degli ultimi anni, ma è interessato più al pubblico che a Sony.
Microsoft, invece, con il suo abbonamento Game Pass, ha corso il rischio di trasformare i suoi videogiochi in un bene usa e getta.
Lo zapping tra un’opera e l’altra, come lo si farebbe con dei film o con delle serie TV, non è affatto applicabile al mondo dei videogiochi, che richiedono troppo tempo per essere fruiti in questo modo.
Inoltre, negli anni più recenti, l’azienda ha anche avuto il “coraggio” di utilizzare i suoi interminabili fondi per acquistare case di sviluppo, che, non sfornando immediatamente un gigantesco successo di mercato, sono state spesso rapidamente chiuse con la stessa audacia, e i dipendenti mandati a casa.
Nintendo, di canto suo, ha fatto attendere fin troppo per il rilascio del suo nuovo hardware, spingendo la prima Switch oltre il tempo limite, alzando le aspettative del pubblico più di quanto non si potesse permettere.
Durante la conferenza di annuncio della console sono stati annunciati titoli come Mario Kart World e Donkey Kong Bananza che, come al solito per l’azienda, rappresenteranno probabilmente il picco creativo del medium dell’anno corrente.
Ma poi sono stati scoperti gli alti prezzi, e, come venendo svegliato da un sogno lucido, il pubblico ha risposto con una rabbia incontrollata, come se niente di positivo fosse stato realmente annunciato.
Sono pochi, in data odierna, i director o software house che ricevono il rispetto o la fiducia del pubblico, che sembra sempre più disilluso, tiepido nei confronti dei nuovi annunci.
Si aspetta prevalentemente l’uscita della ricorrente proprietà intellettuale, cercando le stesse sensazioni che videogiocare dava un tempo, rimanendo inevitabilmente delusi.
Non è un caso, infatti, che in questi anni è il mercato indie ad essere sempre più apprezzato, distaccandosi dalle stantie regole del mercato tradizionale.
Sembra quasi che al giocatore non convenga più aspettare con trepidazione una nuova uscita, e l’essere soddisfatti di un gioco è sempre più una posizione scomoda.
Basta aprire un qualsiasi social per scoprire le opinioni dei più: non è apprezzato chi parla con passione del medium, è molto più comodo provare disprezzo, si ha paura di rimanere delusi.
Questo fenomeno è comprensibile, sintomo dell’abuso delle aziende nei confronti del consumatore, la cui fiducia, non agendo tempestivamente, rischia di non essere più riconquistata.
Osservando i pochi titoli che ricevono il plauso unanime del pubblico, è inevitabile notare che questi si distinguono dagli altri dal semplice e scontato intento padre della realizzazione di un’opera: creare qualcosa di cui si va fieri, fare arte.
Sono proprio le software house che però, questo, non sembrano capirlo.
Da ricordare infatti il 2023, in cui all’uscita di un fenomenale Baldur’s Gate 3 sono stati i competitor a lamentarsi pubblicamente dell’esistenza del titolo, chiedendo al pubblico di non aspettarsi giochi della stessa qualità in quanto irraggiungibile.
Lo status quo del videogioco rappresenta una paradossale situazione in cui il pubblico non trae beneficio dall’essere positivamente coinvolto nel medium, mentre le aziende sembrano non volere che questo evolva in positivo, di fatto, creando uno stallo.
Che i prossimi anni rappresentino un punto di svolta?
In questa incertezza, forse è più sicuro non avere alcuna aspettativa, e dire a tutti quanto poco ci si creda.