Caro Giuseppe finalmente è uscito per l’Arcana editore il libro” Harpo’s Bazaar storie di cassette” un libro molto prezioso perché racconta una fetta di storia musicale bolognese dove l’ascolto era su cassette.
Già, finalmente! Dell’Harpo’s Bazaar si è parlato anche in passato, ma non esisteva un testo basato in modo esclusivo sull’esperienza della cooperativa bolognese. Un buco editoriale che ho provato a riempire allargando il discorso anche alle band e agli artisti che, di solito, rimangono un passo indietro quando si tratta di sbloccare certi ricordi. Mi spiego: dici Harpo’s e vengono subito in mente Skiantos e Gaznevada, seguiti a ruota da Luti Chroma e Windopen. Peccato che spesso ci si dimentichi dei Naphta, di Albert Mayr, di Sorella Maldestra o di Stefano Barnaba, i cui lavori sono stati fondamentali per la crescita dell’etichetta di Oderso Rubini. Album usciti su cassetta, è vero, un supporto povero, economico ma nobile, che ha permesso a tanti giovani di avvicinarsi alla musica (chiamiamola, un po’ banalmente, alternativa) senza dissanguarsi.
Cosa si è mosso dentro di te la voglia di raccontare attraverso le voci di allora, la storia dell’Harpo’s Bazaar dal 1977 al 1979? C’è una certa “nostalgia ideologica “dietro a tutto questo?
Più che altro, ho cercato di mettermi in pace con un conflitto irrisolto. Avevo 15 anni ed entrai a far parte di una piccola emittente radiofonia della mia città, Porto Sant’Elpidio, fu lì che venni a contatto con dischi meravigliosi e a me sconosciuti. Tra i quali Inascoltable e Mono Tono. Fu la mia iniziazione verso un certo tipo di musica (fino a poco tempo prima i miei idoli erano i Bee Gees!), e da lì cominciai, come avrebbe detto Eugenio Finardi, a mollare le menate. Una volta trasferitomi a Bologna, pensai che avrei potuto ricambiare la favolosa accoglienza ricevuta dalla mia nuova città provando a ricostruire la storia dell’Harpo’s Bazaar, la cui musica così tanto mi aveva colpito da ragazzino. Una nostalgia ideologica? Direi di no: quando nacque la Harpo’s, ero un adolescente che non sapeva nulla di Lorusso, dei carrarmati e di tutto qual che stava succedendo in quegli anni così caldi. Certo, crescendo ho avuto l’occasione di studiare quell’epoca così caotica, anche trai banchi universitari. Se devo dirti la verità, non so se avrei voluto viverli, colonna sonora a parte…
Leggendo il libro mi fai venire in mente quanta voglia c’era una volta nel costruire “la gioia musicale e scoprire talenti” con naturalezza e molta spontaneità nonostante il periodo poco chiaro della politica italiana e anche una certa instabilità economica.
Credo che ogni epoca abbia avuto la possibilità di scoprire talenti. Solo che, allora, la cosa era più facile: c’erano poche etichette discografiche e i musicisti più nascosti venivano sostenuti dalle radio, che negli anni ’70 erano ancora libere. E poi i dischi si vendevano come il pane, pertanto le case discografiche avevano la possibilità di far uscire anche progetti diversi, legati all’avanguardia o allo sperimentalismo. Ai giorni nostri abbiamo un’infinità di modi di fruire ogni tipo di musica, i talenti ci sono ma, paradossalmente, riconoscerli, tra una produzione musicale ormai diventata strabordante, è diventato difficile. Per quanto riguarda la gioia di costruire musica, credo che ci sia ancora, se non ci fosse, saremmo messi davvero male!
Bologna allora era una polveriera di cose da fare, ci credeva, aveva aperto le braccia verso le coscienze intellettuali, le nove cassette “di musica d’avanguardia cit: Skiantos” accesero ancora di più la voglia di essere diversi!
Più che pretendere di mostrarsi o di apparire diversi, credo che il bisogno impellente sia stato quello di essere veri, autentici. I musicisti della Harpo’s non avevano intenzione di sfondare o di arrivare primi in hit-parade. Il loro era un semplice ma profondo desiderio di esprimersi per quello che erano, erano convinti della necessitò di abbattere, ora uso un termine che mi sta profondamente sulle palle, il pensiero unico costituito da Sanremo o dalle playlist radiofoniche confezionate. Per gli Skiantos l’importante era distruggere le certezze dei cantautori e delle rockstar, per i Gaznevada il verbo era il punk, per i Windopen e i Luti Chroma contava l’energia, i Naphta se ne fregavano del fatto che il prog fosse ormai fuori sintonia, Sorella Maldestra giurò sui sacri testi del rock demenziale, Stefano Barnaba seguiva l’esempio di Akan Lomax, Albert Mayr aveva la fissa per John Cage e compagni. Gente per nulla tranquilla, diciamolo.
Cassette, 45 giri ed LP erano i nostri ascolti quotidiani, la cassetta poi la potevi cancellare e riscrivere con brani nuovi. E le si divideva tra amici per l’ascolto. Harpo’s Bazaar raccolse il meglio della Bologna musicale underground e fu un trionfo.
È proprio così. L’esperienza della Harpo’s durò solo due anni ma fu determinante. Non solo per la nostra città. Non appena Skiantos e Windopen firmarono per la Cramps, Bologna divenne la capitale italiana del nuovo rock tricolore, tutti volevano passare dalle nostre parti a sentire l’aria che tirava. Come Sorella Maldestra, che da Vercelli approdarono sotto le due torri, sostenuti da Freak Antoni e Sbarbo Cavedoni degli Skiantos.
Ora le cassette di Harpo’s Bazaar sono ricercatissime. Hai fatto fatica a reperire i personaggi che troviamo nel libro?No, nessuna fatica. È stato Oderso Rubini a indirizzarmi e a suggerire i nomi che poi troviamo nel libro. Un unico rimpianto: non aver fatto in tempo a contattare Albert Mayr, che, purtroppo, è scomparso lo scorso gennaio. Più che altro, ho fatto fatica a trovare il disco dei Naphta: le loro cassette sono ormai introvabili, sono riuscito ad accaparrarmi la ristampa in vinile del loro album grazie a un rivenditore francese, che peraltro ha applicato un prezzo umano.
… Ne esce fuori un racconto corale, la fotografia di un’epoca meravigliosa che, con ogni probabilità, non si ripeterà piu’… Cosi scrivi nel retro del libro. Condivido che non si ripeterà più. Anzi!
Rileggendola, l’ho trovata una frase un po’ banale. Impossibile prevedere se certe situazioni si ripresenteranno di nuovo e con quali modalità. Di certo, Bologna ha avuto un altro momento d’oro a fine anni ’80, l’epoca delle Posse. Certo, il contesto, sociale e politico era del tutto differente rispetto a quello vissuto una decina di anni prima, però fu una bella botta anche quella. Io spero, e dovremmo sperarlo tutti, che arrivi un altro manipolo di ragazzotti e ragazzotte in grado di sconvolgerci. Senza pretendere che la parola d’ordine sia “1-2-6-9!”.
Caro Giuseppe finiamo qui questa piccola chiacchierata, abbiamo provato nel nostro piccolo dare una “luce” a questo lungo periodo molto confuso su tutto ciò che è la leggerezza delle cose, dove allora ascoltavi mentre ora “salti di qua e di la per condividere insieme un ascolto”
PS: Grazie per avermi citato nel libro.
Giuseppe: Grazie a te!
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Le foto della presentazione alla Libreria modo infoshop di Bologna sono di Alessandro Ettore Corona