Inutile negarlo: quando in una band di successo il cantante decide di abbandonare la nave, spesso è a forte rischio l’esistenza del gruppo stesso. Questo rischio lo corsero nel 1975 anche i Genesis che, con sei dischi già all’attivo, rappresentavano uno dei simboli più importanti del progressive rock e dal grande seguito di pubblico sia in Inghilterra che nel resto del mondo. L’ultima doppietta costituita dai loro due album forse più celebri (Selling England by the pound e soprattutto Lambs lie down on Broadway) aveva ormai letteralmente logorato i rapporti far Peter Gabriel e gli altri membri, quindi il suo addio non cadde certo come un fulmine a ciel sereno. Tuttavia i “superstiti” non avevano affatto intenzione di mandare tutto all’aria e così si misero alla ricerca di un nuovo cantante, ancorché il batterista Phil Collins non avesse certo sfigurato quando aveva potuto mettersi in mostra al microfono (penso ad esempio alla splendida More fool me).
All’inizio delle sessioni di Trick of the tail nessun successore era stato ancora considerato come papabile e la versione offerta in studio da Collins del nuovo pezzo Squonk contribuì a convincere tutti che in fondo non era necessaria nessuna campagna acquisti: il centravanti per segnare i gol lo avevano già in squadra. La scelta fu assolutamente indovinata e l’album che partorirono (pubblicato nel 1976) fu certamente all’altezza delle aspettative. Lo stile dei Genesis restò abbastanza coerente col loro passato ma, persa la teatralità del precedente frontman, era evidente che qualcosa sarebbe dovuto cambiare. La title track ad esempio, che fu anche il primo singolo, ha un approccio pop abbastanza marcato e un taglio radiofonico (non a caso è l’unico brano sotto i 5 minuti) che in passato raramente si era visto (Counting out time dal citato Lambs lie down on Broadway). Gli altri tre moschettieri: Tony Banks (tastiere), Mike Rutherford (chitarra e basso) e Steve Hackett, tecnicamente molto validi, contribuirono in ogni caso, ciascuno col proprio indubbio talento, a salvare il marchio di fabbrica.
La track list vede ad esempio tre episodi dal dna progressive che considero fra i migliori della band post Gabriel. La prima è l’onirica Mad Man Moon (di ben 7 minuti e mezzo) ballata malinconica con diversi cambi melodici e che forse meglio di altre definì il nuovo corso. Al centro del brano un memorabile assolo di tastiere in crescendo di Banks guida l’ascoltatore fino alla repentina accelerazione per poi sfociare, nel finale, al definitivo ritorno alla dolcezza e alla calma.
La seconda canzone imperdibile è la lunghissima Ripples (qui si superano gli 8 minuti) che, come la precedente, è caratterizzata da un tocco delicato e un sound piacevolmente british. Immancabile nel bel mezzo del brano una lunga parte strumentale che funge da lungo ponte fino alla riproposizione del ritornello dalla stupenda melodia. Sublime.
Il tris d’assi è completato da Entagled che conferma lo schema vincente delle altre due, ma (assolo finale a parte) è in generale molto più dominata dal suono delle chitarre acustiche invece che dalle tastiere. Il quadro è completato dall’iniziale e spiazzante cavalcata uptempo di Dance on a volcano – di difficile digeribilità per i delicati palati mainstream e decisamente in linea con i dischi precedenti – l’arrembante Robbery assault and battery la cui versione dal vivo nel tour di Seconds Out (1977) è da recuperare a tutti i costi e il finale scatenato, solo strumentale, di Los Endos.
SOund36 continua con costanza a riproporvi album del passato (di ogni stile e anno) che meritano di non essere dimenticati e che, nella carriera dei vari artisti, hanno rappresentato un momento importante. Trick of the tail ha avuto il merito di risollevare le sorti di un gruppo storico nel momento forse più difficile della sua gloriosa storia.
GENESIS – A Trick Of The Tail
Trick of the tail ha avuto il merito di risollevare le sorti di un gruppo storico nel momento forse più difficile della sua gloriosa storia.