Francesco Cavestri è un pianista, compositore e divulgatore musicale. Bolognese, classe 2003, ha all’attivo tre album e un nuovo disco in uscita per l’inizio del 2026. Il 23 settembre si esibirà in trio allo storico Blue Note di Milano con la partecipazione di una straordinaria special guest. Di Jazz e altre contaminazioni abbiamo parlato in questa piacevole intervista.
Quando e come nasce la tua passione per la musica e in particolare la dedizione al Jazz?
Il mio rapporto con il Jazz nasce anni or sono, quando avevo dodici anni, quindi dieci anni fa. In realtà suonavo il pianoforte già da tanto tempo, dai quattro anni per la precisione. Sono partito dalla musica classica e poi il Jazz è stata per me una folgorazione ascoltando “Kind of Blue” di Miles Davis (1959) consigliato da una mia professoressa. Da lì è partita la grande passione per il genere jazzistico che mi ha portato a iscrivermi al conservatorio, a studiare in America e ad avviare la mia carriera professionale e musicale con la pubblicazione di diversi album e a esibirmi ai concerti. Quando ho scoperto il Jazz, ho capito che l’improvvisazione era parte integrante della musica ed è strettamente legata al tema della libertà. Sin da piccolo non sentivo una forte passione per la musica classica perché la sentivo troppo schematica. Ho sempre avuto un animo vivace e volevo rompere le regole che avevo appreso. Con il Jazz mi si è aperta questa prospettiva per cui la rottura degli schemi, il pensare fuori da essi, il creare sul momento delle melodie mai esistite prima sono stati gli elementi che mi hanno fatto innamorare di questo genere musicale.
Ci sono altre forme d’arte che ti appassionano e che confluiscono nella tua musica?
Sicuramente il cinema, la letteratura e la filosofia hanno un peso importante. Il mio album dal titolo “IkI-bellezza ispiratrice” (2024) è ispirato alla filosofia giapponese. Ho scoperto il concetto dell’IKI leggendo il libro “La struttura dell’IkI” di Kuki Shūzō incentrato sulle tre tematiche di base del rapporto umano: la seduzione, l’aspetto emozionale e il distacco che non è da vivere come negativo, ma come un allontanamento dalla realtà per vederla davvero da un punto di vista più completo. Ho trasferito questi temi nella mia musica, distanziandomi un po’ dal jazz tout court e accogliendo altri generi come l’elettronica.
Cosa ascolti nel tempo libero?
Amo ascoltare tantissima musica e artisti diversi. In questi giorni ho inaugurato un format sui miei canali social basato sulla presentazione di album che spaziano dal jazz, al rock, al funk, al rap e il cantautorato. Queste introduzioni proseguiranno fino alla data del prossimo 23 settembre quando suonerò al Blue Note di Milano proprio per preparare il pubblico e chi verrà al concerto a capire ciò che gravita intorno al mio mondo musicale, le mie influenze artistiche.
Puoi darci qualche anticipazione sul nuovo disco che uscirà all’inizio del 2026?
Al Blue Note di Milano eseguirò brani tratti dai miei dischi già editi e alcuni nuovi brani che faranno parte del prossimo disco in cui confluirà il singolo “Entropia” pubblicato con Willie Peyote e pezzi che viaggiano in molti mondi e tra molteplici influenze sempre mediate e respirate nel nome della musica jazz. Il 23 settembre sarà presente anche un’artista a sorpresa, una voce celestiale, da tempo amica del Blue Note con la quale proporrò anche un pezzo dei Radiohead.
Ti occupi anche di lezioni-concerto nelle scuole, puoi dirci qualcosa in merito?
Da qualche anno svolgo anche l’attività di divulgatore musicale, un progetto che consiste nell’ideare una lezione a propria scelta e portarla in alcune scuole. Ho iniziato anni fa da Bologna, la mia città dove scelsi di raccontare ai giovani studenti di medie e superiori come il jazz sia alla base di molta musica che loro ascoltano quotidianamente. Mi è capitato anche di proporre laboratori, come quello alla Triennale di Milano l’estate scorsa, in cui ho portato la mia tastiera e ho raccontato come la musica jazz abbia influenzato anche generi estremamente contemporanei e seguiti dai più giovani. Avevo con me anche un campionatore che permette di tagliare a pezzetti un brano, ogni pezzo è un tasto di questo MPC e cliccandone alternativamente i tasti in ordine più o meno casuale, si possono riformulare brani nuovi partendo da altri già esistenti: una tecnica che unisce l’hip hop al jazz perché molti pezzi jazz sono stati campionati da brani hip hop. I ragazzi si sono divertiti a creare musica “moderna” partendo da brani jazz degli anni ’50-’60, un mix interessante.

