Recensioni

Federico Albanese @ Blackbirds At The Sun Of October

Scritto da Gin Tasca

La carta da parati della mia cameretta di quando ero bambina era in rilievo – oggi diremmo in 3D. Adoravo scorrere i polpastrelli su quelle striature braille che potevano diventare ideogrammi, noccioline caramellate, corteccia d’albero o profumo di confetti. E’ curioso come qualcosa di inamovibile riesca a smuovere certi ricordi, emozioni e sensazioni tanto lontane.
Una carta da parati non è solo una carta su parete, ma diventa la tela di un sogno o di mille sogni e le mura di una camera diventano lo sfondo su cui disegnare con l’immaginazione.
Wallpaper Of Dreams – La Carta da Parati Dei Sogni – è la tela dei ricordi del compositore Federico Albanese ed è anche la traccia che chiude la sua intima raccolta Blackbirds At Sun Of October.
E’ l’ultima di tredici tracce che raccolgono l’intima urgenza del musicista di tornare ai luoghi di origine, tredici tracce che uniscono ciò che i chilometri separano, annullano distanze geografiche e rievocano memorie vitali.
Federico Albanese nasce a Milano ma si trasferisce a Berlino dove mette su famiglia, la sua famiglia, senza mai dimenticare quella di origine e i luoghi dove tutto è iniziato. Il musicista milano-berlinese accoglie l’urgenza della nostalgia e si lascia avvolgere dalla nebbia della tenerezza con questo suo ultimo lavoro, in uscita il sette Febbraio.
Il titolo di ogni brano è fortemente evocativo sin da quello della raccolta ed è anche il sesto brano dell’omonimo lavoro.
Blackbirds At The Sun Of October – I merli al sole di Ottobre – fermi su un filo di corrente, in attesa di gettarsi nei lampi fumosi del sole tra la nebbia, richiamano l’aria sospesa degli inverni timidi delle campagne del Monferrato, laddove il musicista è cresciuto da bambino, laddove il tempo si confonde con lo spazio.
Il pianoforte che batte sulla stessa nota in un piano crescendo esprime l’attesa muta e scrutatrice di quei merli pronti a lanciarsi nella nebbia grigia, l’arrivo degli archi prepara al salto unisono e massivo, l’entrata delle percussioni segna il momento decisivo di un disegno non programmato che genera un vento di echi nella memoria.
Tutta l’azione si chiude su un tempo in levare, un tempo dolce, perché dopo il grande salto, ecco la grande quieta. Tutto torna silente e, in un attimo, i pensieri volano neri come merli e ammassati come stormi.
Il musicista dissolve su un tempo dolce – in levare, appunto –  anche il terzo brano della raccolta,  A Story Yet to Be Told, a dare la giusta delicatezza che spetta alle storie ancora non dette, a quelle che mancano ancora di possibilità, a quelle che non si possono raccontare perché non comprese da chi le udirebbe.
Storie che raccontano miti e leggende che hanno dato i natali alle terre del Monferrato, come quella di Adelasia e Aleramo, storia di un amore proibito dal padre di lei, l’imperatore Ottone I, ma conquistato a suon di galoppate da parte di Aleramo. 
Un amore snocciolato lieve dal pianoforte e il violoncello nel brano The Prince and the Emperor per poi aprirsi al turbinio della passione composta della giovane Adelasia nel brano che di lei porta il nome.
La terra, i miti, la storia, le storie, le luci, le ombre, i vapori, il giallo, l’azzurro, il grigio, tutto quello che può far trasalire l’animo di un uomo, tutto riemerge dai legami ancestrali che abbiamo con le nostre origini, tutto serve per farci tornare a respirare.
E’ un respiro, questo, che Federico Albanese fa sentire forte e dirompente nel brano Re-Sphere e lo fa sentire già dal titolo stesso, quasi onomatopeico, quasi aria.
Un respiro ampio che fiorisce con disinvolta fermezza nel brano Bloom. Archi laminanti, pianoforte martellante, suoni stridenti come ghiaccio rotto annunciano l’incedere inarrestabile di una nuova stagione di fioritura, una stagione a cui ne seguirà un’altra e un’altra ancora, sempre con lo stesso ciclo e mai con un vorticare uguale.
Colpi che scolpiscono la memoria e riaffiorano a volte con un sospiro, a volte con uno sguardo rivolto al cielo, a volte perso a guardare gli uccelli in volo, perché i luoghi e le persone ci lasciano sempre qualcosa di sé addosso e il segreto della memoria è proprio quello di ricordarci chi siamo, da dove veniamo e che non siamo mai soli.

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Gin Tasca

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