La possibilità di individuare la propria dimensione senza salire su un piedistallo, accettando le crepe che ci appartengono, riconoscendo e abbracciando quelle altrui come il giusto compromesso tra margini di miglioramento e calcificazioni inalienabili, può generare letteratura.
Dopo il successo di “Umanistili e una ballerina sulla luna” e di “Fatti di Umani- Racconti in cui non succede
niente” (di quest’ultimo progetto vi avevamo già offerto il nostro sguardo), Elisa Rovesta si diverte con la consueta sensibilità (resa frizzante da un guizzo d’acume e di ironia) ad impastare vissuti, volti e storie somiglianti a tutta la “masnada umana” che il lettore può incontrare per strada oppure all’eco del riflesso che lo sorprende nello specchio appena sveglio.
Prototipi e non stereotipi che pulsando ancora una volta dalle pagine di NFC edizioni, uniscono terra e cielo.
In “Umanestelle” (terzo tassello di un interessante percorso socio-letterario), l’autrice mantovana pare condensare le sollecitazioni maturate durante un lungo viaggio che dopo diversi chilometri, quasi impone di scavare dentro la vita di chi maneggia l’inchiostro e ne modella altri frammenti: minuti, eccentrici eppure mai presuntuosamente protagonisti, punto focale di un disegno variegato e collettivo, che ponga ciascuno in osservazione di ciò che accade fuori e dentro la bolla in cui respira.
“Come sempre”-spiega Rovesta– “le storie mi raggiungono facendosi spazio in quel “guardare” giornaliero a cui la scrittura e l’approccio con le risorse umane mi hanno abituata. Non amo prendermi troppo sul serio. Nella mia letteratura tutto diventa irriverente quasi caricaturale ma spero mai poco autentico dal momento che l’intenzione è sempre quella di portare alla luce tratti dell’umano, che seppur mascherati dall’ossessione, dall’eccesso, dalla scarsa autostima, dalla strabordante sicurezza, incarnano irrimediabilmente la punta di un iceberg ben più profondo, quello dell’antieroe. Nessuno dei miei personaggi è l’esempio da seguire per antonomasia, né si propone come tale ma si rivela semplicemente sé stesso, lasciando alla percezione di chi lo custodirà tra le proprie letture (non certo a me che resto un narratore esterno non giudicante), l’opportunità di costruire un’opinione, di riflettere, di sorridere, nella consapevolezza che come canta Cesare Cremonini In questo mondo di eroi, nessuno vuole essere Robin”.
Nell’era della performance impeccabile che non lascia spazio all’errore, Elisa Rovesta (sulla scorta dell’ osservatorio privilegiato che è la rubrica “Stili Umani” da lei curata su “Panorama” nonché di tante altre collaborazioni giornalistiche e delle suggestioni che convogliano tutte nel suo omonimo sito internet) non rinuncia a dare dignità alla natura schiva di uno sciatore, a quella competitiva di una turista da lago (che poi si specchierà con le screpolature di altre esistenze), illuminando la trappola del saper tutto, così come l’opportunità di porsi domande dentro una stanza, di scoprire parti di sé sopite o represse o di condividere il tempo e l’esistenza con chi è simile oppure opposto a noi.
“I miei protagonisti sono unicamente in gara con la propria indole” -ammette Elisa Rovesta. “Puntano a trovare un centro senza sgomitare, anzi creando momenti in cui indagare nell’ io e dar la possibilità agli altri di esprimersi. Questo è un libro che nel suo piccolo si sforza di ribadire l’importanza dell’immaginazione come forza creatrice di una realtà possibile (dando voce a tutte le stelle che ci abitano e facendo del nostro disegno vitale una costellazione in cui far confluire ragione, sentimento e creatività) e dall’altra è un invito all’ascolto di chi ci vive accanto, quale forma di arricchimento personale ed anche di empatia, in un tempo come il nostro così veloce eppure svuotato della propensione a porsi nel dubbio, ad aprirsi al confronto, a coltivare l’idea, a chiedere aiuto”
Una visione che fa intendere bene come nel paradigma letterario di Elisa Rovesta possano facilmente convivere le atmosfere dei quadri di Hopper, l’aurea cinematografica dei film anni ’40 ma pure la fedeltà all’ armocromia che affolla il nostro cosmo virtuale e reale.
“Umanestelle” si conferma (nella tradizione dei volumi targati Rovesta) anche un’occasione per far incrociare le creature di carta che lei stessa ha plasmato nelle precedenti novelle e che come nelle migliori commedie hollywoodiane intercettano in un matrimonio il pretesto per ricongiungersi. Un finale in cui la scrittrice si rivolge al lettore, mescolando addii e arrivederci, presentandoci coppie improbabili, chiudendo cerchi e spalancando panorami come accade pure nella musica.
“Nell’epilogo di questa vicenda (che come si evince dal titolo è un piccolo finale) si possono riconoscere molti volti delle mie storie precedenti perché la volontà è sempre quella di creare circolarità e sorprendere. Che ci sia altro da raccontare? Mai dire mai. In fondo-ragiona l’autrice-il matrimonio che socchiude la scena è appena agli albori del pranzo. Di sicuro se c’è una costante in quasi tutti i miei racconti quella è la musica. Quando immagino una situazione mi pare già di ascoltare la canzone che ci si abbina perfettamente. Così fu
per un brano di Lucio Dalla nel primo volume e la stessa magia si è ripetuta in quest’ultimo libro con un pezzo di Vasco Rossi, con “Give Peace A Chance” di John Lennon e Yōko Ono e con l’iconica “Dancing in the Moonlight” di Toploader. Non deve trattarsi necessariamente di canzoni a cui sono legata ma di sonorità in grado di calarsi nel contesto narrato, rendendo quella porzione di testo incisiva, come accade per i momenti della vita”.
SOund36, conosce bene la fortunata commistione tra parole e note e non può che celebrare l’energia con cui essa illumina l’esistenza e pone in valore la bellezza dell’uomo, quasi fosse una stella terrena.
Elisa Rovesta – Umanestelle
“Umanestelle”: Elisa Rovesta torna a raccontare la complessità di essere vivi, imperfetti e sfaccettati senza dover rinunciare a nessun angolo di cielo e di interiorità