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Death Stranding, Metal Gear Solid e oltre: il genio di Hideo Kojima

Scritto da Tommaso Cardia

Kojima è sicuramente uno dei volti più noti dell’intera industria videoludica, e negli anni ci ha viziato con titoli indimenticabili e spesso divisivi

Hideo Kojima è un nome che fa tremare la terra se pronunciato di fronte a qualsiasi videogiocatore: c’è chi lo ama e lo ammira come un dio da venerare, chi invece non lo sopporta e trova le sue idee troppo astruse, ma difficilmente si può trovare qualcuno a cui non fa né caldo né freddo. In un modo o nell’altro, tutti noi siamo passati da qualche suo gioco, che sia un capitolo della Metal Gear saga (1987-2015), il più recente Death Stranding (2019), o anche titoli meno conosciuti come Zone of the Enders (2001), Policenauts (1994) o Snatcher (1984).

Kojima è una grande personalità, capace di trasmettere la sua autorialità alle opere che crea in maniera egregia. Recentissimamente ha lasciato in eredità alla sua compagnia di sviluppo una chiavetta USB “piena di idee“, una scelta decisamente autoriale. Proprio a causa di ciò, Kojima non può che essere divisivo, è normale per qualsiasi persona che si spinga verso una direzione, per di più inserendo nelle sue opere temi politici.

Il prossimo 26 giugno avremo tra le mani il nuovissimo Death Stranding 2: On The Beach, sequel del primo Death Stranding, tra tutti il titolo più divisivo rilasciato da Kojima, insieme a Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty. DS è stato il primo titolo sviluppato da Kojima Productions in maniera indipendente (anche se sotto l’ala di Sony), dopo la brusca separazione con Konami avvenuta nel 2015 al culmine di una serie di episodi spiacevoli (prevalentemente legati a Metal Gear Solid V e PT, il nuovo capitolo di Silent Hill poi tristemente cancellato) e differenze di visione tra Kojima e i dirigenti della compagnia giapponese. La situazione difficile del suo sviluppo ha però concesso più libertà al director, che ha creato un videogioco che ancora oggi ritengo unico. Nessun altro titolo mi ha saputo dare le sensazioni che mi ha dato Death Stranding, e mai avrei pensato che una meccanica semplice come la camminata da un punto all’altro per consegnare un pacco sarebbe stata proprio il punto di forza del gioco, senza mai risultare noiosa e evidenziando come non serva inserire mille meccaniche complesse per rendere un videogioco immersivo. In fin dei conti, la realtà non è così complessa.

Death Stranding è stato da subito un titolo molto divisivo proprio per il suo voler proporre qualcosa di nuovo, una visione autoriale unica e che, per forza di cose, non poteva piacere a tutti. Lo stesso Kojima si è detto preoccupato e un po’ deluso quando, dopo l’ultimo trailer di DS2, la ricezione è stata quasi del tutto positiva e non ci sono stati molti contraltari. Ha giustamente pensato che fosse impossibile che tutto il mondo condividesse quella che a conti fatti è una visione personale, ed è inevitabile che esponendosi su tematiche importanti a qualcuno si possa dare fastidio. Sicuramente in questi anni tante persone hanno rivalutato Death Stranding in positivo, dopo averlo odiato, definito “Bartolini simulator” per anni, semplicemente provandolo e accorgendosi poi che DS è tutt’altro. Sì, il protagonista è un corriere incaricato di consegnare pacchi, in un mondo distopico e post-apocalittico dove quello del corriere è uno dei mestieri più pericolosi, fondamentali e richiesti. Aggiungiamoci una storia incredibile, registicamente bellissima, con dei personaggi indimenticabili e un’interazione con gli altri giocatori davvero intelligente e coerente con i temi del titolo.

Kojima è da sempre stato un precursore, arrivando a spaventare per quanto le sue visioni si realizzassero nel mondo reale a distanza di anni. Mai la storia di Metal Gear Solid 2 è stata così attuale come oggi, grazie a temi come il controllo dell’informazione, la dittatura, il lavaggio del cervello e i “meme“, nel senso letterale del termine, ovvero “elementi di una cultura o un sistema di comportamento trasmessi da un individuo a un altro per imitazione”, argomento trattato benissimo anche nel suo saggio “Il gene del talento”, che consiglio vivamente di recuperare. Tematiche cardine della saga di Metal Gear ma in particolare di quel secondo/quarto capitolo che fu tanto divisivo all’epoca per molte cause, prima fra tutte il cambio di protagonista e la maggiore profondità della trama, e che oggi è riconosciuto come uno dei capisaldi più importanti non solo della saga, ma del medium tutto.

Ogni capitolo della saga di Metal Gear è stato capace di superare il precedente e di innovare in qualche aspetto, compreso il tanto discusso Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, frutto del periodo di massima tensione tra Kojima e Konami e pertanto incompleto da un punto di vista narrativo. Ho quindi ragione di pensare, anche basandomi sui trailer del gioco, che DS2 sarà a tutti gli effetti un potenziamento del primo, riproponendo le stesse emozioni ma in un contesto nuovo, pieno di nuove meccaniche e, apparentemente, tanto dinamico da definirlo “simile a MGSV”, come detto dallo stesso Kojima. Cosa intenda di preciso non lo sappiamo, ma immagino che si riferisca alla struttura del gameplay. MSGV ha un game loop quasi da exctraction game, in cui il vasto open world è pieno di basi in cui infilitrarsi, ottenere ciò che serve e poi scappare. Oppure sterminare tutti, ma… Beh, il gioco lascia libertà totale in questo. MGSV ha rivoluzionato l’AI nei videogiochi, i nemici sono capaci di rispondere in modo dinamico e realistico a qualsiasi approccio del giocatore, cambiando equipaggiamenti, disposizione e armi in base al modo in cui il giocatore si è approcciato alla base in precedenza. Se basi tanto il tuo approccio sui colpi alla testa, i nemici indosseranno elmetti più resistenti per proteggersi. Se invece preferisci nasconderti senza farti notare, metteranno più mine, radar e sensori di movimento in giro. DS2 deve fare questo: implementare un sistema action innovativo laddove il primo DS non brillava in quel senso. Il combat system del primo era grezzo, a tratti noioso, specialmente nelle basi nemiche che andavano affrontate sempre nel solito modo. Ma in questo penso che possiamo fidarci dei trailer: si sono viste sezioni di gameplay estremamente più dinamiche rispetto al passato, e chissà che non possa effettivamente raggiungere l’apice di MGSV, uno dei titoli action migliori della storia del medium.

Kojima non è solo un game designer, è un director a tutto tondo: nei suoi videogiochi mette la sua passione per il cinema, per la musica, per i videogiochi, per la politica e per la storia moderna, oltre a tantissimo altro. L’intero sistema di collezionabili di Death Stranding era basato sulle passioni del director. Da sempre è riuscito a unire tutto questo, ma la perfezione non esiste e si può sempre fare qualcosa di migliore. I suoi lavori oggi sono più liberi che mai e, anche se dispiace a tutti che la saga di Metal Gear sia finita in maniera così brusca, sappiamo che per lui e il suo team è stato meglio così e possiamo continuare a credere nei suoi prossimi progetti, a sua detta innovativi e rivoluzionari per il medium, con OD (il gioco horror in sviluppo attualmente in collaborazione con Microsoft) che “si propone come un assottigliamento del confine tra cinema e videogioco”, qualsiasi cosa possa significare. E poi avremo Physint, l’erede spirituale di MGS che non avremo prima di altri 5 o 6 anni, in sviluppo in collaborazione con Sony.

Nel mercato dei videogiochi quello che oggi manca di più è proprio l’autorialità, la volontà e la capacità di trasmettere una visione propria, che purtroppo può andare a cozzare con gli interessi economici delle aziende che finanziano i progetti. L’esempio più eclatante è Clair Obscur: Expedition 33, primo titolo di Sandfall Interactive rilasciato il 24 aprile scorso, estremamente autoriale, frutto dell’idea di questi sviluppatori usciti da Ubisoft dove non si sentivano liberi di esprimersi. Penso che in Ubisoft si stiano mangiando le mani adesso, ad aver perso sviluppatori così capaci. Ma purtroppo oggi si preferisce andare sul sicuro con sequel, remake, remastered o riedizioni e si lascia l’onere di innovare al mercato indipendente o più raramente al mercato doppia A. Sempre più giocatori si stanno accorgendo che i giochi moderni sono spesso molto simili tra loro, sia per le meccaniche che per il setting, e ci stiamo rapidamente stufando. Oggi i titoli che ci lasciano più emozioni sono, paradossalmente, anche quelli a budget più basso. Quest’anno i miei titoli preferiti sono stati Expedition 33 e Blue Prince, nati appunto da una visione artistica e basando il proprio successo economico su di essa, piuttosto che su qualcosa di già visto e comprovato. Mi auguro di vedere più titoli del genere, e uno spostamento del budget dalla grafica realistica verso le idee innovative, decisamente più interessanti e accattivanti.

Lo stesso Kojima non ha sempre avuto esperienze positive. Inizialmente, da appassionato di cinema quale è, il suo sogno era di fare il regista. Poi, sono nati i videogiochi e lui ci ha visto un nuovo mezzo tramite cui raccontare delle storie intense. Con il senno di poi è facile definirlo successo, ma al tempo i videogiochi non erano molto più che un passatempo da sala giochi, senza profondità narrativa ed estremamente semplici. Tanto che inizialmente l’idea del giovane Hideo fu presa freddamente con un “ma i videogiochi non hanno bisogno di storie”, che fu poi ritrattato dopo che il ragazzo mostrò a Konami di cosa fosse in grado. Nacque così Metal Gear, nel 1987, uno dei primi titoli a introdurre una storia, un setting e temi politici al suo interno, e che fu poi seguito da un sequel diretto, Metal Gear 2: Solid Snake, e in seguito dalla celebre saga di Metal Gear Solid, legata a doppio mandato ai primi due MG e ambientata nello stesso mondo con gli stessi personaggi. Tuttavia Kojima pensò più volte di smettere, convinto di non poter fare più di quanto avesse già fatto, durante i primi anni di esperienza nel settore. E per fortuna non l’ha mai fatto, continuando ad arricchirci con i suoi titoli indimenticabili. La serie di Metal Gear Solid è sicuramente una delle migliori e più importanti di sempre, purtroppo finita bruscamente a causa di Konami che, spesso, non ha particolare considerazione delle opere d’arte che si ritrova a gestire. Oltre a Metal Gear Solid, Konami ha fatto disastri con Silent Hill, Castlevania e Yu-Gi-Oh!, le proprie saghe più famose, per dedicarsi a titoli piattaforma come PES o al gioco d’azzardo del Pachinko, un grave problema sociale in Giappone.
Oggi però quei tempi sono finiti, e Kojima non ha intenzione di arrendersi. Ne vedremo ancora delle belle, e dobbiamo essere grati di questo.

Abbiamo bisogno di persone come Hideo Kojima nell’industria, che possa piacervi come autore o meno, ma vanno riconosciute la sua capacità, la sua dedizione e la sua importanza del medium. Non è chiaramente l’unico a perseguire una visione autoriale tra i grandi, mi vengono subito in mente Shigeru Miyamoto, Hideki Kamiya, Fumito Ueda, Neil Druckmann, Tetsuya Takahashi, Toshihiro Nagoshi… La lista è lunga, ma spesso e volentieri questi director si ritrovano con le spalle al muro e vedono le loro stesse compagnie ridotte a vendere solo prodotti e non più opere d’arte. Lo stesso Kamiya ha lasciato recentemente lo studio da lui stesso fondato, Platinum Games, perché non riconosceva più in esso le caratteristiche fondamentali che voleva che avesse, ed è tornato a collaborare con Capcom, che ad oggi sembra lasciare ampio spazio alle visioni autoriali.

Presto vedremo se e come Death Stranding 2 rivoluzionerà il medium, e ne riparleremo sicuramente. Per il resto, non ci rimane che aspettare. 

About the author

Tommaso Cardia

Nato a Bracciano (Roma) nel 2003, sono cresciuto immerso nel mondo dei videogiochi fin da piccolo, con una forte passione per il giornalismo e il mondo della critica.
Amo la creatività, l'arte, l'impronta autoriale e la libertà, e mi piace spaziare tra tutti i generi videoludici e media artistici.

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