Sedetevi e mettetevi comodi, è arrivato il quinto appuntamento con Wor(l)d Jazz, la rubrica targata Sound36 in cui vi spieghiamo in tre parole i concerti dell’Arena Santa Giuliana in occasione della quarantacinquesima edizione dell’Umbria Jazz.
A dare inizio all’ultimo weekend del festival ci pensa David Byrne, storico leader e fondatore dei Talking Heads, con il suo nuovo tour “American Utopia”.
Ma iniziamo subito…
G come GABBIA. Mentre il pubblico dell’Umbria Jazz prende posto tra la platea e la gradinata, da dietro il grande tendone di plastica si sollevano timidi cinguettii di uccellini. Inizia così lo spettacolo di David Byrne all’Arena Santa Giuliana. Gli spettatori non si accorgono inizialmente che qualcosa sta già accadendo ma poi le luci si spengono, ed esattamente al centro compare lui, Byrne, seduto dietro un piccolo banco con un cervello in mano che intona Here, brano estratto dal suo nuovo album American Utopia. Ad avvolgere l’intero palco una gabbia di fili metallici luminosi dentro la quale ballano e suonano alternandosi i vari musicisti e performer come moderni burattini. Gli abiti identici, targati Kenzo, i piedi scalzi e nessun filo negli strumenti conferiscono allo show un tono minimal, eclettico, senza grandi effetti speciali. A differenza di molti altri live qua si toglie piuttosto che aggiungere e ogni brano diventa una coreografia, ballata e interpretata con precisione maniacale anche dallo stesso Byrne.
S come STORIA. David Byrne è un uomo che racchiude nei suoi sessantasei anni una storia incredibile. Un musicista, compositore, produttore, scrittore e, ultimo ma non ultimo, il geniale fondatore dei Talking Heads. La sua personalità è variegata, matematica e lucidamente folle. Nella complessità di questo personaggio si snoda un tour tecnicamente complesso, ricco di coreografie, ma in realtà molto semplice agli occhi dello spettatore. In un’ora e mezza circa, Byrne ripercorre la sua storia musicale, dando precedenza al suo ultimo lavoro “American Utopia”, ma dedicandosi anche alle collaborazioni (come quella con St.Vincent in I should watch tv) e ai tanti nostalgici dei Talking Heads accorsi per l’occasione, intonando capolavori come “I Zimbra” e “This Must Be The Place”.
Ed è proprio su questo brano che Byrne si rivolge minaccioso alla platea urlando “Fermate tutto! Hey, uomini della sicurezza, lasciate ballare questa gente!”. Il pubblico non se lo fa ripetere due volte e una cascata di gente arriva direttamente sotto palco, urlando e ballando.
B come BIS. Lo spettacolo finisce, David Byrne e i suoi escono dal palco ma ovviamente il pubblico non ci sta e allora applausi, urla e oggetti lanciati sul palco richiamano il bis per un ultimo momento di ballo con Dancing Togheter, il brano scritto in collaborazione con Fatboy Slim, e con The Great Curve dei Talking Heads. Ma ovviamente, come impone il personaggio di Byrne, anche il bis non è convenzionale ma doppio e quindi l’atmosfera cambia, tutti tornano sul palco intonando la cover di Hell You Talmbout della cantante rap Janelle Monàe, una canzone di protesta che richiama il “chiama e rispondi” tipico delle marce per i diritti civili e che scandisce i nomi di afroamericani uccisi dalla polizia o vittime di violenze razziste.
Uno show complesso, originale e teatrale. Una specie di sintesi perfetta di quello che David Byrne rappresenta come artista.