L’attesa è finita. Dopo oltre tre lustri i Cure hanno finalmente pubblicato il loro nuovo album e, senza sorpresa alcuna, è esattamente come tutti noi ce lo aspettavamo: intensamente oscuro.
La band inglese ha spento già da un po’ le 40 candeline e, in questi ultimi lunghi anni pur in assenza di nuova musica, i loro fan (fra i quali il sottoscritto) non hanno mai mollato di un centimetro, riempiendo sempre gli stadi ed i palazzetti in tutto il mondo, ovunque si sono esibiti. Ma Robert Smith e compagni non hanno mai abbandonato l’idea di scrivere ancora e, pur prendendosi molto tempo, hanno deciso che era arrivato il momento di farcela ascoltare. Prima, anticipando molti brani nei concerti dell’ultima “tornata”, e ora finalmente con un disco dal titolo decisamente indicativo “Songs of a lost world” che lascia già intendere il mood degli 8 brani che lo compongono.
Quello che mi ha sempre affascinato dei Cure è la loro capacità di saper creare un’atmosfera originale unica nella quale potersi immergere totalmente, grazie alla forza dirompente della loro musica unica, che sa alternare momenti morbidi ed onirici, di profonda introspezione, ad altri energici e graffianti, dall’anima più rock. In realtà nella loro lunga storia hanno spesso trovato il successo anche grazie a brani più propriamente pop, ma nel nuovo disco non hanno trovato alcuno spazio quei pezzi alla “Friday I’m in love” o “Just like heaven”, tanto amati dalle radio di tutto il mondo. Robert Smith, infatti, ha voluto che entrassero nella track list brani scritti solo da lui per cercare di rendere il disco più omogeneo possibile e in qualche modo, monolitico.
Si può quindi affermare, direi senza grande timore di smentita, che questo album aggiunge – a tutti gli effetti – un nuovo imperdibile capitolo a quella che gli stessi Cure considerano la loro mitica Trilogia Dark: Pornography, Disintegration e Bloodflowers. Nel 2003 gli dedicarono addirittura un concerto con la scaletta integrale dei brani suonata in perfetto ordine e che, per l’occasione, ho voluto rivedere integralmente (ndr: su Apple Music, per gli abbonati).
Questa decisa scelta di campo, come anticipato, la si era già compresa con l’uscita dei primi due singoli: la splendida canzone di apertura “Alone”, dilatata da un’interminabile intro strumentale (caratteristica di quasi ogni pezzo) tutta synth e chitarre, e la malinconica ed emozionante love song, “A fragile thing”. In quest’ultima, Smith ci rivela, a modo suo, come il sentimento più potente che l’uomo possa provare nel suo cuore sia, nel contempo, tanto inossidabile quanto vulnerabile.
I punti di contatto con le tre opere citate sono facilmente individuabili già al primo ascolto e il paradosso sembrerebbe proprio questo: i Cure sono tornati ad essere quello che sono sempre stati e, proprio per questo, mantengono integro tutto il loro fascino. Ad esempio, ascoltare la romantica “And nothing is forever”, con quel suono di archi e la splendida ballata elettrica “I can never say goodbye” regala veri brividi a chi ha saputo, con pazienza, aspettare così a lungo.
Per chi vuole rivivere, in parte, lo splendore di album come Faith e Pornography, c’è poi la conclusiva “Ensong” (nomen omen) – irresistibile cavalcata dark di oltre 10 minuti – costruita su una sezione ritmica ipnotica, con il ritmo di Jason Cooper mantenuto sempre identico dall’inizio alla fine. Sinceramente imperdibile.
Sappiamo, dalle dichiarazioni di Smith, che i Cure pubblicheranno altri due album nei prossimi anni, ma la sensazione è che abbiano voluto assicurarsi di lasciarci in dono almeno un’altra pietra miliare e sinceramente penso proprio che ci siano riusciti.
Per chiudere, a beneficio di tutti coloro che avranno ascoltato ed amato Songs of a lost world, vorrei lasciare una sorta di “consigli per l’ascolto” con una personalissima playlist che ripercorre – album dopo album – alcuni episodi (per la maggior parte noti solo ai fan più accaniti dei Cure) nei quali è possibile godere delle stesse emozioni e del sound d.o.c. che ha reso questa band semplicemente inimitabile.
“The Dark Side of the Cure”
Seventeen seconds (Seventeen Seconds)
All cats are gray (Faith)
A strange day (Pornography)
La Ment (Japanese Dreams)
Charlotte sometimes (Staring at the Sun)
The top (The Top)
Kyoto song (The Head on the Door)
One more time (Kiss me Kiss me Kiss me)
The same deep water as you (Disintegration)
To wish impossible things (Wish)
Burn (“The Crow” Original Soundtrack)
Bare (Wild Moods Swings)
The loudest sound (Bloodflowers)
Going nowhere (The Cure)
Underneath the stars (4:13 Dream)