Capitolo 2.1 (parte 15) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione.
Antonio Veretti e il Cielo Sulla Palude
Nato a Verona il 20 febbraio 1900; morto a Roma il 14 luglio 1978. Compositore, didatta e critico musicale, inizia nella sua città lo studio del pianoforte e dell’armonia e compie gli studi di contrappunto, fuga e composizione al Liceo Musicale di Bologna, sotto la guida di G. Mattioli e F. Alfano, diplomandosi nel 1921.
Durante il soggiorno bolognese conosce R. Bacchelli che lo introduce nell’ambiente letterario della “Ronda“. Trasferitosi nel ’26 a Milano, svolge attività di critico musicale sulla Fiera letteraria e di pianista, dedicandosi soprattutto all’esecuzione di opere proprie.
Si stabilizza poi a Roma, dove crea ed organizza al Foro Italico il Conservatorio Musicale della Gioventù Italiana, nel quale insegna sino al ’43, iniziando così quella carriera didattica che nel dopoguerra lo porta alla direzione del conservatorio di Pesaro (’50 – ’52), di Cagliari (’53 – ’55) ed infine di Firenze (sino al ’70). Accademico di Santa Cecilia, della Filarmonica Romana e di quella di Bologna, nel 1957 gli viene conferita la medaglia d’oro dell’Associazione Culturale “Columbus day”.
Allievo di Alfano, attratto in seguito dalla musica di Pizzetti e più tardi da quella di Casella, Veretti è uno dei musicisti più importanti e significativi fra quelli che, di poco più giovani dei compositori della generazione dell’Ottanta e spesso loro discepoli, proseguono l’opera di rinnovamento della musica italiana, facendo riferimento sia alle correnti più avanzate della musica europea, sia alla produzione italiana preottocentesca. Veretti “accostandosi ai pizzettiani si è mostrato più di loro propenso a un neoclassicismo un po’ frigido e un po’ barocco, con curiosità per forme di modernità assai avanzate.” (Massimo Mila).
La sua attività di compositore è caratterizzata da una continua evoluzione stilistica e dalla costante ricerca di un linguaggio sempre nuovo, vivificato dagli stilemi e dagli aspetti costruttivi più moderati, rimanendo del tutto estraneo a qualsiasi acritica adesione alle tecniche di moda. L’esigenza di cercare vie nuove è già avvertita nel primo lavoro importante, la commedia Il medico volante (’23 – ’24), nella quale Veretti, sollecitato anche dal suo librettista, il “rondista” Bacchelli, si pone il problema della rivalutazione della forma, tentando di dare l’equivalente musicale dell’antica Commedia dell’Arte; quindi nei lavori successivi, ed in particolare nel Duo strumentale per violino e pianoforte (’55), nella Sinfonia Sacra (’46) e nell’opera Il Favorito del Re (’55), rifiutate le forme del melodramma verista, introduce quelle proprie della musica strumentale.
La svolta decisiva avviene intorno agli anni ’50, con l’adozione del metodo dodecafonico; ma questo, come dimostra l’opera I sette peccati (’56), non implica l’abbandono della caratteristica sobrietà e linearità di scrittura e della classica eleganza, anche quando, a conclusione di un lungo itinerario estetico-stilistico, Veretti si accosta al divisionismo weberniano.
Si avvicina al cinema, per la prima volta, nel ’35, scrivendo la musica per Scarpe al sole di M. Elter. Dall’anno successivo collabora, quasi esclusivamente, con A. Genina: Lo squadrone bianco (’36), L’assedio di Alcazar (’40), Bengasi (’42), Cielo Sulla Palude (’49), L’edera (’50), Maddalena (’54).
Nei suoi commenti migliori si evince una spiritualità non comune che permea ed informa l’immagine e le vicende narrate, spiritualità ottenuta sia con la musica sacra, sia con quella profana, attingendo grandemente al nostro patrimonio di musica popolare. “Da citare la canzone del Ponte di Bassano che regge, prima a una voce, poi a due, poi con diversi contrappunti dal «piano» al «fortissimo», la sequenza della mobilitazione dei montanari nel citato Scarpe al sole; […] .” (Ermanno Comuzio)