Chiedere a Cesare Ferioli cosa non ha prodotto o fatto è molto complicato perché è un musicista a tutto tondo. Classe ’67 ha debuttato nel mondo musicale nel lontano 1981, e da qual momento non si è mai fermato. L’intervista che seguirà è nata dall’ascolto di un disco uscito in questi giorni: Dark Wave, un album che ti trasporta agli anni “scuri” della musica, quella dei Bauhaus o Joy Division. Dark Wave rappresenta l’idea precisa di riaprire un periodo socio-politico dove la musica è stata un “urlo” verso le disuguaglianze e non solo.
Cesare Ferioli o Big Mojo? Intanto benvenuto sul pulmino di Sound36 per parlare di Dark Wave, questo bellissimo disco dove non troviamo del cantato…
Con lo pseudonimo di Big Mojo seguo da parecchio tempo il mio progetto solista che ha come componente principale il Blues miscelato con sonorità contemporanee quali elettronica, dub, house e techno. Oltre a questo progetto con cui ho realizzato negli ultimi vent’anni tre album e una vasta serie di singoli, ho sempre continuato a produrre altro materiale di vario tipo e di diversi stili, tra cui questo album Dark Wave, che nello specifico è una library anche se è distribuito su tutte le principali piattaforme di streaming. In ambito musicale, una library è una raccolta di tracce musicali che possono essere utilizzate per vari scopi: come colonne sonore per film, programmi televisivi, pubblicità, o altri progetti media. Questo è la finalità editoriale con cui è nato Dark wave, e il fatto che siano tutte tracce strumentali sta proprio nella ragione di poter essere potenzialmente utilizzate per sonorizzare immagini ed eventuali dialoghi o parlati abbinate ad esse. Nel caso di Dark Wave, che anche se è una library è comunque un album come dici tu, potrei dire che i brani sono paesaggi sonori di un oscuro film immaginario, una sorta di colonna sonora nata al contrario, non dal film stesso quindi, poiché il film non esiste se non nella nostra testa. Parlo al plurale perché il lavoro di composizione e produzione dell’intera tracklist è stato realizzato con Nicola Bagnoli, organista e pianista degli Avvoltoi, nonché di altri interessanti progetti, e la collaborazione di Marzio Mars Manni alle chitarre, già con me nella storica band post punk Tribal Noise… si, hai ragione, l’influenza di mostri sacri come Bauhaus, Joy Division o i Banshees di Siouxsie Sioux sulle musiche di Dark Wave non sono casuali, sono capisaldi stilistici imprescindibili per questo tipo di sonorità, suoni che ci sono entrati dritti nel DNA in fase di formazione e di crescita, proprio in quegli anni in cui il post punk andava evolvendosi.
Dark Wave l’ho ascoltato più volte, 15 tracce che mi trasportano in un tempo “scuro e malinconico” ma ribelle, dove la forza della musica andava oltre le frontiere e quasi diventava una “moda” ascoltarla e condividerla. Ma non era moda!
Dark Wave è un viaggio musicale totalmente immerso nelle sonorità post punk e new wave, così tipiche degli inizi anni ’80, suoni che rappresentano le mie radici generazionali. L’oscurità e la malinconia, come anche la tensione e per certi versi la voglia di riscatto, sono il motore di questo stile molto esistenzialista, fatto di cupe atmosfere ma anche di energia e tensione. Allora, parlo dal 1980 in poi, questi suoni erano ciò che di più fresco e contemporaneo stava producendo la generazione nata sulle ceneri del punk e di tutto ciò che aveva preceduto quel momento storico a livello musicale, come il rock mainstream, il progressive, il cantautorato ecc. Possiamo tranquillamente affermare che è stato il suono di un’intera generazione, per questo si respirava e sentiva ovunque, al di là dei confini e delle frontiere.
Mi piace paragonarti ad un lavoratore della musica instancabile, al di là dei tuoi lavori, collabori con musicisti che hanno la tua stessa filosofia di vita, basta citare Wu Ming Contingent che sono anche scrittori come te. Ti trovo sempre avanti…
In generale le persone che hanno aspirazioni simili prima o poi si incontrano, e se condividono visioni e passioni, nascono collaborazioni. Ho sempre trovato molto stimolante lavorare in un contesto collettivo; sono cresciuto all’interno in gruppi e band, dove il valore di ciascuno, unito a quello degli altri, crea qualcosa di superiore alla semplice somma delle parti. Come ti dicevo, ciò non esclude che io possa lavorare anche in totale autonomia come nel progetto Big Mojo, dipende sempre da quali sono gli obbiettivi. Per quanto riguarda specificamente i Wu Ming Contingent, il fulcro della proposta è stata quella di fondere la parola narrata alla musica, dove la musica fornisce potenza alle parole, e queste di conseguenza arrivano all’ascoltatore in maniera totalmente diretta e profonda sfruttando proprio il media sonoro… mi piace quando mi definisci un lavoratore della musica, è ed così che mi sento dopo tutti questi decenni passati a suonare e produrre questa materia intangibile, si, sento di appartenere orgogliosamente alla working class della musica, un mondo fatto di piccoli artigiani che continuano a lavorare nel loro laboratorio giorno dopo giorno.
Come batterista ti ho sempre apprezzato perché sei “sul pezzo”, tiri dritto, credo che anche la tua struttura mentale sia così. Questo stile ti facilita nel comporre dischi come Dark Wave o Tenebre veloci su Bologna con i mitici Tribal Noise, che ne pensi?
La batteria mi piace suonarla in modo essenziale e il più possibile efficace, ciò comporta eliminare fronzoli e valorizzare più possibile il contesto musicale che ti sta attorno. Ho sempre sostenuto che il batterista sia una figura centrale nella band rock’n’roll, il motore… il flusso ritmico deve essere solido, dinamico e di facile comprensione, è così che il messaggio musicale trasmesso arriva al cuore e ai piedi di chi ascolta… una volta che lo scheletro del brano è solido e compatto, tutto il resto può andare dritto all’obbiettivo, se manca questo elemento casca inevitabilmente tutta l’impalcatura. Partendo da questo presupposto diventa più facile comporre e arrangiare in maniera efficace.
Altri lavori che ho trovato interessanti all’interno della tua carriera sono sicuramente gli album usciti dalla collaborazione con il gruppo blues rock The Dirty Hands, ( https://www.sound36.com/andy-carrieri-intervista/ ) dove il tuo stile di batterista segue quello che poi fai per le tue produzioni singole.
Con i Dirty Hands abbiamo fatto quattro album dove al 90% abbiamo prodotto materiale originale, oltre a cover di brani chiave del blues che più ci ha ispirato. Anche in questo caso la scelta fatta con il compagno di sempre, Andy Carrieri, è stata quella di suonare un genere così classico cercando di contaminarlo con le nostre radici musicali europee filtrate da tutto quello che erano le nostre esperienze pregresse, cioè punk, rock’n’roll e pub-rock, ottenendo così un rockin’ blues elettrico abbastanza originale, sicuramente molto personalizzato. Non avrebbe avuto alcun senso scimmiottare i neri del Mississippi, quando in realtà eravamo bianchi ed europei, nati in un diverso contesto, con altre aspettative e problemi. Abbiamo sempre preferito un prodotto onesto e sincero piuttosto che fare del manierismo. Il risultato che ne deriva è una proposta musicale sincera che può non piacere ai puristi, anche se questo tipo di compiacimento non mi ha mai interessato. Quando ascolto musica live o compro dischi, quello che mi interessa è il punto di vista personale di chi sto ascoltando, l’originalità della proposta, non i replicanti. In fin dei conti quello che ci insegnò il punk è stato fare le cose in maniera autonoma, autocostruire la propria musica, il proprio look e le proprie fanzine, senza subire le pressioni esterne in maniera passiva, anzi, contrapponendosi proprio ai condizionamenti, quindi sviluppando di conseguenza personalità. Questa è la grande eredità che ha lasciato il punk a me e a quelli che lo hanno vissuto. Una bella palestra mentale che poi è diventata una forma mentis applicabile a tutto ciò che mi circonda.
Visto che sei anche scrittore, ci racconti qualcosa di Tempi Selvaggi? “Non c’è concetto migliore e più esaustivo di Tempi Selvaggi in riferimento a quei primissimi ’80”. Qualche nostalgia?
Tempi Selvaggi, il romanzo prodotto con Roberto Colombari, mi vede in minima parte come scrittore – una parte centrale del romanzo – ma più che altro come grafico. L’idea nata con Roberto, a distanza di tanti anni dalle nostre esperienze comuni, prima nel punk e poi nel mondo skinhead, è stata quella di cercare di narrare quei momenti degli inizi anni ’80 in maniera assolutamente non nostalgica quanto più realistica dal punto di vista del vissuto, quali erano le nostre tensioni esistenziali? Quale era il livello di pressione e violenza a cui eravamo sottoposti?… domande del tipo: cosa ti faceva davvero paura in quei momenti, come vivevi l’ipotesi di omologazione programmata che il sistema aveva in serbo per te, cosa significava subire la pressione del sistema da parte della famiglia, della scuola, della polizia in quell’Italia dei tardi anni di piombo e del post ‘77? E l’eroina che pervadeva tutto il mondo giovanile, da dove arrivava? Ne è venuto fuori un lungo racconto, poi diventato vero e proprio romanzo, che è una trascrizione delle ansie e delle aspettative di una generazione schifata dalle stragi di stato, dal fallimento dei movimenti studenteschi, dalla durezza e dalla repressività di uno stato che non tollerava individui non allineati al programma di sistema.
Ti do un’anteprima, a fine marzo uscirà per Hellnation/Red star press il mio nuovo romanzo dal titolo “Come schegge furiose”, in cui parlo della generazione X e delle sue paranoie, delle carambolesche giornate di resistenza ai plasticosi anni ’80, dei cambiamenti di stile veloci e imprescindibili, come anche della noia e la disillusione di quei kids tra cui sono cresciuto, se poi ti interesserà ne parleremo approfonditamente, secondo me la cosa merita un’analisi a parte.
Carissimo Cesare ci fermiamo qui, grazie per il tempo che ci hai dedicato, conoscerti sotto quest’aspetto mi è servito per divulgare ai nostri lettori di SOund36 e non solo, un musicista italiano totalmente internazionale, una sfida che mi piace… Grazie ancora.
Grazie a te Alessandro, e grazie anche a SOund36 per lo spazio concesso… è sempre un piacere rispondere a domande sensate.
Discografia:
1989 – Jack Daniel’s Lovers – Stay Out Of Jail (Lakota Music)
1992 – Dirty Hands – Dirty hands (Free Time)
1993 – Dirty Hands – XXX Hot Chili !!! (Boots Records – Viceroy Music Europe, Semaphore)
1995 – Dirty Hands – Four Cool Cats (Boots Records – Viceroy Music Europe, Semaphore)
1998 – Junior Pitta & Jungle Beat – Bluew Jungle (Not On Label)
2008 – Big Mojo – Ready Made (Irma Records)
2009 – Supersonix – Cinematica (Irma Records)
2012 – Cesare Ferioli – Marching Around Jericho (Soundiva)
2014 – Big Mojo – Dancing Skeletons (Alnicos/Three Hands Records)
2014 – Wu Ming Contingent – Bioscop (Woodworm)
2016 – Wu Ming Contingent – Schegge di Shrapnel (Woodworm)
2018 – Tribal Noise – Citta’ In Fiamme 1983 – 1987 (Spittle Records)
2020 – The Dirtyhands – Bull’s Eye (Bloos Records)
2021 – Big Mojo – Walking away Babylon (Soundiva)
Libri: https://www.amazon.it/Tempi-selvaggi-Storia-punk-anarchia/dp/8831365304
Link di riferimento:
https://www.facebook.com/cesare.ferioli67/about_details
https://open.spotify.com/intl-it/artist/1l5LhAKhMuYBexMdf0bm18?si=bmlP4sdISu2XzyhZiTz-ww
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