In questi giorni è in corso la polemica sull’approvazione da parte della corte d’appello della dicitura genitore 1 e genitore 2 sulla carta d’identità, nel caso di un minore con genitori dello stesso sesso. Tale approvazione ha fatto infuriare Matteo Salvini che qualche anno fa, aveva promosso e approvato un decreto proibendo tale dicitura, sostenendo la granitica definizione di madre e padre per identificare la genitorialità.
Lasciamo da parte per un momento la strumentalizzazione politica delle diverse posizioni e concentriamoci sulle parole.
In un interessante saggio di Vera Gheno, ‘Potere alle parole’, la linguista, semplicemente, ci fa riflettere sulla evidenza che la lingua non è stata creata e codificata da una o più menti o da una istituzione specializzata. L’Accademia della Crusca e la Treccani osservano e registrano l’uso ampio di una nuova parola, compresa e utilizzata da molti, prima di inserirla nel vocabolario ufficiale della lingua italiana. Chi ha la facoltà e il potere di coniare e pronunciare un nuovo lemma, siamo noi esseri umani, unici ideatori e fruitori del nostro linguaggio, formato da suoni e segni vocali, utilizzati e compresi dalla comunità a cui apparteniamo.
La nascita di una parola ha varie origini, può anche derivare da una forma dialettale o dall’adattamento di una parola straniera ma l’unica certezza è che si dà voce a qualcosa che esiste nella realtà, anche solo progettata. Quando gli uomini primitivi hanno inventato un oggetto in pietra in grado di rotolare, hanno avuto bisogno di comunicare ai loro compagni tale fantastica scoperta, non solo indicandola con un gesto che la mimasse ma anche emettendo un suono che nei millenni è diventato una parola. Tutti ormai sappiamo cosa sta a indicare la parola ruota, come tutti sappiamo a cosa si riferiscono le parole padre e madre.
Non ci si è preoccupati fino ad oggi di coniare una nuova espressione per identificare una combinazione genitoriale diversa da quella ‘tradizionale’, perché non era una realtà ufficialmente riconosciuta. Quando in tempi relativamente recenti, le donne si sono emancipate e hanno cominciato a esercitare professioni fino a quel momento prettamente maschili, si è sentita l’esigenza e l’urgenza anche pratica, di declinare il nome di tali professioni al femminile, come avvocata, ministra e dottoressa. Molti sono insorti considerandola una deviazione, una storpiatura della bella lingua italiana. Un atteggiamento, al di là dell’ideologia maschilista, che negava il principio di realtà.
Se oggi esiste ed è riconosciuta la famiglia omo-genitoriale, bisogna contemplare anche al livello giuridico un modo per definirla. Se un minore ha due madri o due padri, sulla carta d’identità, che è proprio il documento che attesta l’esistenza giuridica di una persona, scriviamo la verità, magari compilando due volte la dicitura madre o padre seguita dal nome, con buona pace dei linguisti che denunceranno la ripetizione come forma sgrammaticata. E se fosse necessario dare un nome ad una nuova e diversa entità familiare, possiamo anche creare una parola alternativa e più calorosa del generico ‘genitore’.
Dobbiamo ricordarci che l’umanità da millenni inventa nuove parole per descrivere e comunicare la realtà che la circonda. La lingua di ogni luogo è in continuo divenire perché si trasforma, si aggiorna ed è viva e sana fino a quando, al contrario, non riduce le sue espressioni, allora vuol dire che sta scomparendo, insieme alla comunità che la utilizza.
Cambi di stagione – Parole di fatto
L’umanità da millenni inventa nuove parole per descrivere e comunicare la realtà che la circonda. La lingua di ogni luogo è in continuo divenire