La Biennale d’Arte di Venezia, giunta quest’anno alla sua 60° edizione, rappresenta un imperdibile appuntamento per intenditori, artisti, professionisti del settore o semplici appassionati, curiosi di conoscere ed immergersi nell’ambiente artistico internazionale attuale.
Curata in questa edizione da Adriano Pedrosa, l’Esposizione dal titolo STRANIERI OVUNQUE – FOREIGNERS EVERYWHERE è aperta al pubblico dallo scorso 20 aprile e sarà visitabile fino al 24 novembre 2024. Come sempre, la Biennale Internazionale d’Arte di Venezia si articola nelle due sedi dei Giardini di Sant’Elena e dell’Arsenale più varie sedi staccate sparse per la città, ma una sola giornata non è sufficiente per visitare con la giusta cura tutti i padiglioni delle varie Nazioni ospitate.
Abbiamo visitato l’esposizione per SOund36 in una delle prime domeniche d’estate non ancora afose, dedicando quindi la nostra attenzione essenzialmente alle due sedi principali, scegliendo di tornare in città a visitare le altre sedi (il Padiglione della Santa Sede alla Giudecca, ad esempio) in momenti successivi.
Il nostro percorso è iniziato dal nucleo storico dell’esposizione, e cioè dai Giardini, in cui sorgono i padiglioni principali, a partire dal Padiglione Centrale che accoglie i visitatori in questa edizione con la facciata dipinta con i colori sgargianti di un enorme murale realizzato dal collettivo brasiliano Manku, una raffigurazione marina di grandissimo impatto. Ciò che caratterizza in particolare questa edizione rispetto ad altre passate è proprio la forte presenza del colore, insieme all’uso molto originale dei materiali (spesso poveri) più vicini all’artigianato e alle manifatture tradizionali dei vari Paesi. Gli artisti indigeni, folk, queer e outsider sono affiancati in questa sede ad un nucleo storico di opere del XX secolo provenienti dall’America latina, dall’Africa, dall’Asia e dal mondo arabo. Le diverse sale del Padiglione Centrale e i vari Padiglioni delle Nazioni sono quasi sempre ambienti in cui il visitatore si trova coinvolto in esperienze totalizzanti che sollecitano i cinque sensi: la fruizione avviene quindi in modo spontaneo e personale, attraverso un primo approccio immersivo nei vari aspetti culturali dei Paesi partecipanti all’esposizione, lasciando magari ad un secondo momento la necessità di approfondirne le tematiche anche a livello concettuale.
Il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale è stato quest’anno assegnato all’Australia, che ha presentato un padiglione (ai Giardini) molto interessante dal forte contrasto in bianco e nero in cui l’artista Archie Moore ha ricostruito gli alberi genealogici dei nativi e la documentazione dei soprusi subiti dagli abitanti delle Prime Nazioni, mentre quello per il miglior artista partecipante è stato conferito al Mataaho Collective della Nuova Zelanda, con un’opera di impatto ambientale “tessuta” come un sottotetto all’interno delle Corderie.
Se in alcuni padiglioni è la scultura a prevalere, come ad esempio in quello della Francia a tema marino dalle forti implicazioni di denuncia ambientalista o in quello dell’Olanda, le cui opere sono composte interamente di cacao o degli Stati Uniti, in cui troviamo accostamenti cromatici e materici fortemente contrastanti, o ancora quello dell’Arabia Saudita dove è comunque predominante il concetto della condizione femminile rispetto al materiale e alle forme armoniose delle opere, in altri vi è una forte dominanza della pittura, soprattutto nelle partecipazioni dei Paesi sudamericani e del Centro America, nonché del tessuto dipinto, cucito, lavorato, steso, appeso e intrecciato a creare scenografie di forte impatto sia nei padiglioni dei Giardini che, soprattutto, negli ampi spazi all’Arsenale.
La visita nella splendida sede delle Corderie è infatti un percorso affascinante e ricco di interazioni tra la “location” storica dell’esposizione e gli interventi artistici per la maggior parte di notevole interesse. Il titolo di questa edizione della Biennale veneziana, “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”, è tratto da una serie di lavori realizzati dal Collettivo Claire Fontaine, nato a Parigi ma con sede a Palermo che si è ispirato nel proprio lavoro al nome di un collettivo artistico torinese che nei primi anni 2000 si batteva contro il razzismo e la xenofobia. Uno di questi lavori, che troviamo verso la fine del nostro percorso, è costituito da una serie di scritte al neon di vari colori sospese sotto alle tettoie che coprono la Darsena, in un interessante gioco di riflessi d’acqua che moltiplicano le parole scritte nelle diverse lingue.
Infine, il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini rappresenta sempre una specie di mondo a sé: in questa edizione è un ambiente che ospita un’opera fortemente concettuale dell’artista Massimo Bartolini con contributi musicali e testuali in comunicazione sonora con l’esterno, il piacevolissimo e rilassante Giardino delle Vergini dove la nostra visita giunge al termine.
Tutte le foto sono di Valeria Bissacco ad eccezione di quella dell’installazione della nazione vincitrice, l’Australia, che è di Chiara Gallo.