Interviste

Palmer Generator – Intervista

Scritto da Annalisa Nicastro

l’obiettivo è far riscoprire l’ascolto in quanto tale, come immersione, e non come semplice “accompagnamento di sottofondo”

Musicalmente parlando come vi definireste?
Esploratori Psichedelici.

Il nucleo fondante il gruppo Palmer appartiene alla famiglia Palmieri, Jesi/Ancona cosa vi ha dato dal punto di vista musicale?
L’essere tutti parenti crea un feeling del tutto particolare, ci conosciamo benissimo tra di noi, sappiamo reciprocamente come pensiamo, come agiamo e cosa sentiamo in determinati momenti. Ciò fa si che quando siamo sul palco si crei una sinergia emozionale unica dove ognuno diviene partecipe dell’energia dell’altro; questo ci permette di dare sempre il massimo sia verso gli altri che verso noi stessi ed è una cosa che ci unisce enormemente.
Dal punto di vista compositivo l’essere parenti fa poi si che la scrittura dei brani non si fermi alla sola sala prove o al solo studio, ma diviene parte integrante del nostro vivere condiviso. Poi ovviamente c’è l’altro lato della medaglia … quando ci dobbiamo insultare per qualche discordia o semplicemente perché ci girano le palle non andiamo per il sottile … ma anche ciò in fondo fa parte del gioco.
Per quanto riguarda la zona dove ci siamo sviluppati, bè, qui il panorama musicale è stato sempre molto florido a livello Underground. Jesi soprattutto verso la fine dei ’90 e i primi 2000 è stata molto attiva ed ha prodotto molte band di rilievo, tutti noi siamo cresciuti (anche se in periodi diversi) a suon di concerti noise, grunge, core, psych, alternative e siamo sempre stati in contatto con lo sperimentalismo.
Negli ultimi anni purtroppo la “scena” sta subendo un rallentamento, dovuto soprattutto alla mancanza di un “sostrato culturale” forte di matrice underground, insomma di un pubblico vivace, attivo, presente ed interessato cosa che ovviamente è frutto e conseguenza dei tempi che viviamo (l’approccio alla musica sempre più come fruizione usa e getta e come passatempo fa si che non ci sia reale “affezione” ed interesse).
Resta comunque ancora molto da raccontare, soprattutto Ancona negli ultimi anni sta producendo molto e speriamo fortemente che si continui a respirare “aria buona”. Noi il nostro proviamo a farlo …

In questi giorni è uscito il vostro secondo album, “Shapes”, pensate abbia qualcosa di diverso dal vostro album d’esordio?
Shapes è un lavoro che risulta molto diverso dal precedente (e)motionless.
La prima ed ovvia cosa è la scelta della linea strumentale. Questa scelta era già nell’aria da diverso tempo, infatti anche nel precedete lavoro le linee vocali erano utilizzate più come contorno che non come protagoniste, insomma è stata per noi un’ evoluzione naturale.
In Shapes risulta poi essere molto più determinate il lavoro organico che è stato fatto. Mentre nel precedente album abbiamo più che altro lavorato sui singoli brani e sulle singole parti, qui il lavoro è stato portato avanti sempre tenendo conto della linea generale, degli ambienti sonori complessivi, insomma nel creare non solo dei bei riff e dei bei brani ma delle elaborate ambientazioni sonore che accompagnassero l’ascoltatore.
Insomma si è deciso, in controtendenza (e speriamo non in maniera contro produttiva), di non puntare sul solo “impatto diretto” che colpisce l’ascoltatore nell’immediato ma sul concetto di “viaggio” (in linea anche con il concept del disco). Per tale motivo chi ascolta il nostro nuovo album dovrebbe sempre affrontarlo e valutarlo nel complesso (di qui anche la scelta dei lunghi brani), senza fermarsi al singolo ascolto o al singolo pezzo, ma in maniera organica e complessiva (cosa che sicuramente nella moderna moda dell’usa e getta musicale appare in forte controtendenza)
Sicuramente non si tratta di un disco “radiofonico”, l’obiettivo è far riscoprire l’ascolto in quanto tale, come immersione, e non come semplice “accompagnamento di sottofondo”.

A livello grafico, nel vostro nuovo album, siete stati influenzati dalla teoria orientale del Fukeiron. Concettualmente si sente l’eco del mito platonico della caverna… Ce ne parlate meglio?
L’idea era di riprendere il mito filosofico della caverna platonica e rielaborarlo in musica.
In tale mito gli uomini, rappresentati come schiavi, fuggono, attraverso 4 stadi della conoscenza dalla prigionia e si rendono liberi. Il tutto è stato ripreso da noi come simbolo della necessità per l’uomo moderno di emancipare la propria mente, ormai resa schiava ed assuefatta alle realtà fittizie che il mondo ci mette di fronte.
In tutto il disco si assapora poi una sorta di “aura negativa” poiché (su ispirazione della morte di Socrate) l’uomo liberato, il saggio, una volta ridisceso nella caverna viene ucciso dagli altri schiavi suoi simili, giacché questi, oramai assuefatti, adorano a tal punto le realtà fittizie da amarle e non riuscire ad accettare la loro falsità (insomma, l’uomo che alla faticosa via dell’emancipazione preferisce la rassicurante via della menzogna).
L’individuo, schiavo del sistema, diviene così arma di conformazione nelle mani del sistema stesso, e questo è un po’ il punto focale. La società con i suoi meccanismi coercitivi mascherati che non solo schiavizza la mente delle persone ma le rende assuefatte alle stesse catene che le imprigionano, e senza esserne consapevoli si finisce con l’amare la propria cella ed odiare chi ci vuole liberare.
Gli artwork riprendono poi il “Fukeiron” che non consiste in altro che nell’inversione delle immagini. Tale inversione comunica il senso di oppressione, l’impossibilità del volo angelico, il peso della modernità che schiaccia l’uomo.

I vostri brani sono dei veri lisergici viaggi sonori, dove si arriva alla fine del viaggio?
Fuori dalla caverna …


Annalisa Nicastro

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione. E in ultimo vorrei dire che mica sono matta, ma solo pazza. Pazza di gioia.

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